CORSO DI FORMAZIONE PER RLS

Modulo 3 – Fattori di rischio

“D.LGS. 81/08 e D.M. 10/03/1998”

SOMMARIO

RISCHI TRASVERSALI

1.STRESS LAVORO CORRELATO

2.AMBIENTI LAVORATIVI: MICROCLIMA, ILLUMINAZIONE E IGIENE

I RISCHI SPECIFICI

1. RISCHIO VIDEOTERMINALI

2. RISCHIO RUMORE

3. RISCHIO VIBRAZIONI

4. RISCHIO CHIMICO

5. RISCHIO BIOLOGICO

6. RISCHIO INCENDIO

7. RISCHIO ESPLOSIONE

8. RISCHIO MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

9. RISCHIO MECCANICO

10. RISCHIO ATTREZZATURA DA LAVORO

11. RISCHIO ELETTRICO E FULMINAZIONE

12. RISCHIO VIABILITÀ AZIENDALE

13. RISCHIO CADUTA DALL’ALTO (LAVORI IN QUOTA)

14. RISCHIO CANCEROGENO

15. RISCHIO CAMPI ELETTROMAGNETICI

16. RISCHIO RADIAZIONI IONIZZANTI

17. RISCHIO RADIAZIONI OTTICHE ARTIFICIALI

18. RISCHIO AMIANTO

RISCHI TRASVERSALI

Si possono definire come quei rischi che si situano nel rapporto tra il lavoratore e l’organizzazione del proprio lavoro. Ogni aspetto di questo rapporto che presenti eccessi o difetti, di quantità o qualità, può porre il lavoratore in una situazione di rischio trasversale o, appunto, organizzativo.

Si possono definire, quattro tipologie di fattori da cui possono derivare rischi trasversali:

Organizzazione del lavoro: attività svolte in condizioni particolarmente usuranti: lavori in continuo, sistema di turni gravoso, lavoro notturno, movimentazione manuale dei carichi (MMC), lavoro ai terminali (VDT). Inoltre, in questa categoria rientrano gli incarichi che gravano il lavoratore di un onere aggiuntivo, come la pianificazione e il controllo degli aspetti riguardanti salute e sicurezza, la manutenzione degli impianti, il monitoraggio delle procedure di emergenza.

Fattori psicologici: È una classe molto importante, che riguarda tutte le situazioni generatrici di stress correlato o sofferenza psichica, come la solitudine o la monotonia imposte dal proprio compito, la potenziale conflittualità con i colleghi di lavoro, l’impossibilità di contribuire ai processi decisionali.

Fattori ergonomici: Comprendono tutte le cause ergonomiche in senso stretto (facilità di utilizzo degli strumenti, istruzioni adeguate all’uso, condizioni di sicurezza affidabili) e anche quelle relative, in senso lato, all’ambiente e alle condizioni di lavoro.

Condizioni di lavoro difficili. Sono classificabili come “difficili” una molteplicità di condizioni lavorative: il lavoro in presenza di condizioni climatiche e di pressione logoranti, con animali, in acqua o in generale in situazioni in cui il lavoratore avverta la costante pressione del pericolo.

1.STRESS LAVORO CORRELATO

In anni recenti si tende a ridurre molti rischi trasversali alla categoria del rischio da stress lavoro-correlato, che in effetti costituisce uno degli esiti più frequenti dell’esposizione a questo genere di rischi.

Infatti, lo stress lavoro-correlato è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica (come ansia, irritabilità e depressione) o sociale ed è conseguenza del fatto che la qualità e/o la quantità di lavoro sono sproporzionate rispetto a ciò che il soggetto sa e può fare e a ciò che il soggetto guadagna, pertanto questi individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.

Lo stress lavoro-correlato pertanto può interessare potenzialmente ogni luogo di lavoro quindi dal supermercato sotto casa, all’ente pubblico fino alla grande impresa per ogni categoria di lavoratore in quanto causato da aspetti strettamente connessi con l’organizzazione e l’ambiente di lavoro.

FATTORI DI STRESS:

1. TIPO DI LAVORO

lavori che sottopongo il soggetto ad elevati livelli di stress: medici, infermieri, insegnanti, psicologi

2. AMBIENTE LAVORATIVO

Organizzazione nel suo complesso, ambiente, il team

Rapporti interpersonali con i supervisori/superiori o nel gruppo di lavoro

3. ECCESSIVO CARICO DI LAVORO

lavoro straordinario indesiderato specie quando percepito come una funzione per il soggetto;

tempo insufficiente per rispettare le scadenze di lavoro;

programmazione dei cicli di lavoro e di riposo;

4. RITMI FRENETICI

con molti straordinari tali perché il soggetto vive per lavorare e non ha tempo per se e/o per la propria famiglia

2.AMBIENTI LAVORATIVI: MICROCLIMA, ILLUMINAZIONE E IGIENE

Diamo uno sguardo ad alcuni fattori di rischio correlati agli ambienti lavorativi:

microclima o aerazione sfavorevole: se il microclima di un ambiente e il benessere termico dipendono da una serie di fattori ambientali (temperatura, umidità relativa, velocità dell’aria) bisogna anche considerare il tipo di vestiario indossato dal lavoratore (classificato in base alla resistenza termica che oppone alla dispersione del calore), e l’attività svolta dallo stesso (calcolata in base al dispendio energetico). La scelta degli indumenti indossati (tuta da lavoro, divisa, e/o DPI) deve essere fatta in relazione all’attività da svolgere; ciò è determinante per raggiungere le condizioni di benessere termico.

Tra le cause più frequenti di condizioni microclimatiche inadeguate, possiamo annoverare:

scarso isolamento termico dei locali, che può provocare temperature inadeguate nella stagione invernale ed estiva

rapporti aeranti insufficienti, in quest’ultimo caso, se si sceglie di risolvere il problema con l’utilizzo di impianti di aerazione forzata, una cattiva progettazione e realizzazione dell’impianto può non garantire i ricambi d’aria necessari” e può provocare “sbalzi di temperatura eccessivi all’interno di uno stesso ambiente, nonché fastidiose correnti d’aria”;

illuminazione inadeguata: il documento sottolinea che tutti i luoghi di lavoro devono essere adeguatamente illuminati. Se la scelta del tipo di illuminazione è errata o le fonti sono collocate in posizioni non idonee, si ottiene un’eccessiva o scarsa visibilità dell’ambiente di lavoro, che comporta:

diminuzione della capacità visiva, favorendo l’insorgenza di affaticamento visivo,

assunzione di posture scorrette

aumento della possibilità di compiere errori. Quest’ultima condizione, oltre a pregiudicare la qualità del lavoro eseguito, accresce l’eventualità che si verifichino eventi traumatici infortunistici (es. scivolamenti, inciampi, urti, ecc.). Tale problema può assumere aspetti rilevanti nelle aree magazzino, che in genere contengono in ampi spazi numerose scaffalature, sviluppate in altezza.

carenze nella struttura e nell’igiene dei locali: ad esempio “fattori legati alla struttura dei locali, alla tipologia d’uso degli stessi, alla disposizione dei flussi delle persone, dei veicoli, dei materiali, possono essere causa di infortuni quali: cadute dalle scale, inciampo, investimento, ecc”. E’ importante:

Organizzazione delle vie di transito di mezzi di trasporto dei materiali (automezzi, muletti, transpallets, ecc.) e della circolazione dei pedoni, se non progettata e realizzata in modo funzionale, può provocare investimenti di persone, urti, schiacciamenti, ribaltamenti dei mezzi ecc”.

Corretta pavimentazione: “la presenza di buche, sporgenze e ostacoli non rimovibili è causa di sbandamento e rovesciamento dei mezzi di trasporto, ma anche di scivolamenti, inciampo e cadute dei pedoni”.

Locali di lavoro e impianti “devono essere mantenuti in buono stato e regolarmente puliti”. E “in tutti i casi, occorre prestare attenzione alle possibili infiltrazioni di umidità, con conseguente formazione di muffe, che concorrono a creare un ambiente insalubre per chi vi lavora”.

Il documento si sofferma poi sulle condizione di igiene e ricorda anche le indicazioni normative relative all’eventuale uso di locali seminterrati o interrati.

Veniamo a qualche indicazione per la prevenzione.

Riguardo il microclima si indica che:

partendo dal presupposto di una corretta progettazione dei locali, nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente, è “di fondamentale importanza la verifica e la manutenzione periodica degli impianti stessi, che deve avvenire in modo programmato”;

la scelta della postazione di lavoro dell’operatore “deve essere effettuata tenendo presente la posizione delle fonti di calore (macchine, vetrate, ecc.)”;

“se, per ragioni legate al ciclo lavorativo e al tipo di lavoro da effettuare, non è possibile, adottando le migliori tecnologie, ottenere ideali condizioni di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, è necessario prevedere periodi di acclimatazione, pause e periodi di riposo. In questi casi, è inoltre necessario indossare abiti protettivi atti a sopperire alle condizioni microclimatiche sfavorevoli”. Il documento segnala, ad esempio, che se il ciclo lavorativo prevede un passaggio continuo di un lavoratore da un ambiente interno a uno esterno, questo lavoratore nella stagione invernale “sarà continuamente sottoposto a sbalzi termici. In questi casi, è buona norma organizzare il lavoro in modo da ridurre al minimo il transito tra un ambiente caldo e uno freddo, e dotare i lavoratori di abbigliamento che ripari dal freddo”.

Riguardo l’illuminazione dei posti di lavoro si indica che:

“deve consentire una buona visione, in modo da poter svolgere correttamente il lavoro in tutte le ore del giorno e in tutte le stagioni. La realizzazione di un impianto di illuminazione in un locale industriale deve essere effettuata valutando il tipo di struttura in cui l’impianto si inserisce e il tipo di attività che vi si svolge, quindi la disposizione delle postazioni di lavoro, dei flussi delle persone e gli spostamenti dei materiali che possono far mutare gli spazi di manovra e di transito, ovvero l’area da illuminare”.

Inoltre, posto che nei locali industriali l’attività lavorativa è svolta utilizzando macchine utensili, “è opportuno che vengano installati impianti di qualità elevata, in grado di assicurare condizioni lavorative ottimali, unitamente a un elevato grado di sicurezza per il personale. In ogni caso, l’illuminazione generale dei locali industriali va molto spesso coordinata e integrata con un’illuminazione localizzata. Fondamentale, come per ogni impianto, è la manutenzione, che per edifici di vaste dimensioni, se avviene in modo programmato e periodico, garantisce notevoli vantaggi economici”.

Veniamo infine alle carenze nella struttura e nell’igiene dei locali:

collocazione e organizzazione delle vie di circolazione di mezzi e pedoni in prossimità di zone pericolose;

segnalazione ed eventuale segregazione delle zone pericolose (buche e/o sporgenze, ostacoli non rimovibili, porte, portoni, ecc.): “tutte le zone pericolose, se non possono essere rimosse, devono essere adeguatamente segnalate ed evidenziate; è bene ricordare che il formarsi di una buca o un gradino, non deve essere risolto apponendo un cartello di pericolo, ma programmando in modo funzionale e in linea con le esigenze aziendali, il suo ripristino in tempi ragionevoli, anche in relazione al grado di rischio”;

verifica periodica di buona efficienza di tutte le strutture: pavimenti, passaggi, vie di transito, scale, vie e uscite di emergenza: “è fondamentale effettuare periodicamente la verifica di buona efficienza di tutte le strutture dei locali di lavoro (porte, portoni, finestre, pavimenti, passaggi, porte di emergenza, soppalchi, ecc.), ed eseguirne regolarmente la manutenzione, che garantisce la funzionalità. A questo proposito, azioni di sensibilizzazione sotto forma di informazione e formazione del personale che utilizza detti locali, permettono di focalizzare meglio, e senz’altro in tempi brevi, gli eventuali problemi che si vengono via via a creare”;

manutenzione, pulizia, e verifiche di efficienza di spogliatoi, gabinetti, docce e lavabi, locali di riposo: “la manutenzione, la pulizia e la verifica di buona efficienza delle strutture devono essere effettuate, per garantire le condizioni di igiene dei servizi”;

aerazione di locali sotterranei o semisotterranei, qualora utilizzati.

I RISCHI SPECIFICI

Rischi del contesto in cui l’attività viene svolta, ad esempio, i rischi collegati con l’utilizzo di un particolare tipo di attrezzature piuttosto che un altro a seconda del luogo dove si lavora, i rischi durante l’uso o la manipolazione di un acido durante una particolare fase di lavoro.

1. RISCHIO VIDEOTERMINALI

I videoterminali (Vdt) costituiscono oggi un elemento essenziale in quasi tutti gli ambienti lavorativi, siano essi uffici, dove il videoterminale è adesso lo strumento fondamentale di lavoro, che ambienti produttivi, dove in molti casi i videoterminali entrano con funzioni di controllo o per attività di progettazione.

Il lavoro al videoterminale pone dei rischi per la salute dei lavoratori, che dipendono non solo dal videoterminale stesso ma da tutto ciò che costituisce l’ambiente in cui il lavoratore si trova. I rischi legati al vero e proprio Vdt sono dipendenti dalle sue componenti (schermo, tastiera, mouse, altre periferiche) oltre che dalle caratteristiche dei software installati, mentre l’ambiente comprende la postazione di lavoro (essenzialmente scrivania e seduta) e quanto c’è intorno (luce ambientale, microclima, spazi di lavoro e di movimento, ambiente sonoro, ecc.).

Il rischio dovuto al Vdt è uno dei fattori considerati nella legislazione sulla salute e sicurezza sul lavoro, che pone la sua valutazione tra gli obblighi del datore di lavoro, come per tutti gli altri rischi presenti nell’ambiente lavorativo.

L’utilizzo del videoterminale può presentare dei rischi per i lavoratori addetti: infatti l’adibizione a un videoterminale, che per legge si concretizza in un tempo di adibizione di almeno 20 ore settimanali, comporta in genere il mantenimento di una postura statica e la concentrazione dell’attenzione (e dello sguardo) su uno schermo, per tutto o quasi il periodo di lavoro.

Indicazioni sulle caratteristiche degli arredi

piani di dimensioni adeguate per garantire una corretta disposizione di materiali ed attrezzature ed il corretto appoggio degli avambracci

profondità tale da garantire una corretta distanza visiva dallo schermo

superfici di colore chiaro

altezza indicativa dei piani di appoggio di circa 70-80 cm

sedili a 5 razze, di tipo girevole, con regolazioni della seduta e dello schienale indipendenti, in altezza ed inclinazione

Indicazioni sugli ambienti

eliminazione del rumore o minimizzazione mediante segregazione o insonorizzazione di agenti rumorosi (ad esempio, stampanti)

condizioni microclimatiche idonee (velocità dell’aria ridotta, umidità non inferiore al 50 %, temperatura intorno ai 20°C)

illuminazione atta a evitare riflessi sullo schermo e abbagliamenti, evitando lampade che diano sfarfallii e, nel caso di lampade a soffitto, verificando che la linea fra l’occhio e la lampada formi con l’orizzonte un angolo non inferiore a 60°.

L’intensità dell’illuminazione dovrebbe essere maggiore di 300 lux, possibilmente 500 lux.

Indicazioni per evitare l’insorgenza di disturbi, muscolo-scheletrici

postura corretta di fronte al video, piedi appoggiati al terreno, schiena appoggiata allo schienale nel tratto lombare

schermo frontale, in modo tale che lo spigolo superiore di esso sia un po’ più basso della linea orizzontale che parte dagli occhi dell’operatore

tastiera davanti allo schermo

evitare irrigidimenti di mani e dita nell’uso di mouse e tastiera, tenendo gli avambracci appoggiati sul piano di lavoro

evitare posizioni fisse per lungo tempo

Sindrome del Tunnel Carpale

Il tunnel carpale è un canale localizzato al polso formato dalle ossa carpali sulle quali è teso il legamento traverso del carpo, un nastro fibroso che costituisce il tetto del tunnel stesso, inserendosi, da un lato, sulle ossa scafoide e trapezio e dall’altro sul piriforme ed uncinato (ossa del carpo della mano).

In questo “tunnel” passano strutture nervose (nervo mediano), vascolari e tendinee (tendini muscoli flessori delle dita).

La sindrome del tunnel carpale si presenta dapprima con una sensazione strana al polso, poi dei formicolii e quindi una sorta di piccola paralisi.

Si tratta di una compressione del nervo mediano all’altezza del polso, nel passaggio tra le ossa carpali e il legamento trasverso del carpo.

La compressione può essere esercitata dalle strutture osteo-legamentose che formano le pareti del tunnel stesso, oppure da una infiammazione dei tendini flessori delle dita che accompagnano il nervo nel suo passaggio al polso.

Il nervo mediano, nella mano, si dirama ad innervare il pollice, l’indice, il dito medio e metà dell’anulare con fibre motorie sensitive.

La prevenzione dello sviluppo della sindrome del tunnel carpale deve necessariamente basarsi sulla riduzione dell’esposizione a fattori di rischio.

Per questo è buona regola adottare superfici lavorative e sedie di altezza regolabile, con tastiere e mouse che minimizzino il carico biomeccanico e non richiedano una eccessiva applicazione di forza.

Indicazioni atte a evitare l’insorgenza di disturbi dell’apparato visivo

illuminazione corretta del posto di lavoro, possibilmente naturale

corretto orientamento dei monitor per evitare riflessi ed abbagliamenti con distanza occhi-schermo pari a circa 50 cm

distogliere periodicamente lo sguardo dal video, per ridurre l’affaticamento visivo

durante le pause lavorative (per legge sono previsti 15 minuti di interruzione ogni 2 ore di esposizione continuativa ai videoterminali), dedicarsi ad attività che non richiedono impegno visivo

pulizia e manutenzione periodica di video, tastiera, mouse

utilizzo di mezzi correttivi, se prescritti

Indicazioni atte ad evitare disturbi da affaticamento psichico

seguire le procedure previste per l’utilizzo di programmi e procedure di lavoro

acquisire competenza e abilità in tempi adeguati

effettuare le pause previste

rivolgersi a persone di riferimento per qualsiasi anomalia dei mezzi hardware e software

Si tratta quindi soprattutto di rischi per il sistema muscoloscheletrico legati alla postura assunta e ai movimenti che vengono fatti, e rischi per la vista legati alle caratteristiche di luminosità e contrasto dello schermo e dell’ambiente circostante.

PROCEDURA PRATICA GESTIONE VIDEOTERMINALE

Durante la normale attività lavorativa:

Utilizzare sedie anti ribaltanti con 5 ruote e schienale e sedile regolabili separatamente

Assumere una postura corretta di fronte al video, con piedi ben poggiati al pavimento e schiena dritta regolando allo scopo altezza del sedile e altezza e inclinazione dello schienale;

Utilizzare un poggiapiedi se non si riesce ad appoggiare completamente i piedi per terra

Regolare l’altezza della scrivania in modo da poter far entrare le gambe correttamente;

Tenere lo spigolo superiore dello schermo allo stesso livello degli occhi e distante tra i 40 ed i 70 cm dagli occhi;

Regolare inclinazione e luminosità dello schermo per ridurre riflessi e altri problemi visivi;

Disporre mouse e tastiera davanti allo schermo in modo che la schiena sia ben appoggiata allo schienale e le braccia siano sulla scrivania

Tenere appoggiate le braccia fino a livello degli avambracci e usare un mouse idoneo per evitare un irrigidimento della mano;

Evitare posizioni fisse per molto tempo (più di due ore circa)

Ogni 2 ore di lavoro ininterrotto allo schermo fare 15 minuti di pausa evitando di leggere documenti, smartphone o tablet;

Disposizione sulla scrivania:

Tenere la scrivania in ordine con solo la documentazione necessaria per le lavorazioni da fare;

Tenere la scrivania parallela alle finestre o, se non è possibile oscurare le finestre con tapparelle regolabili;

Esercizi per ridurre l’affaticamento oculare:

Osservare con attenzione oggetti distanti più di 6 metri mettendo a fuoco i dettagli;

Staccare lo sguardo dallo schermo e fare lavorazioni che non comportino lo stesso sforzo visivo;

Seguire il perimetro del soffitto.

VIDEO: Utilizzo del videoterminale: https://www.youtube.com/watch?v=UOzRZNvoRMo

2. RISCHIO RUMORE

Il rumore è un segnale non desiderato, di origine naturale o artificiale. L’ipoacusia, cioè la diminuzione fino alla perdita della capacità uditiva, è il danno da rumore meglio conosciuto e più studiato e costituisce una delle malattie professionali ancora oggi più diffuse; tuttavia il rumore agisce con meccanismo complesso anche su altri organi ed apparati (apparato cardiovascolare, endocrino, sistema nervoso centrale ed altri) mediante attivazione o inibizione di sistemi neuroregolatori centrali o periferici.

Il rumore determina, inoltre, un effetto di mascheramento che disturba le comunicazioni verbali e la percezione di segnali acustici di sicurezza (con un aumento di probabilità degli infortuni sul lavoro), favorisce l’insorgenza della fatica mentale, diminuisce l’efficienza del rendimento lavorativo, provoca turbe dell’apprendimento ed interferenze sul sonno e sul riposo.

Le misurazioni fonometriche e la valutazione del rischio rumore devono essere effettuate da personale competente, nel rispetto delle metodologie indicate nel D. Lgs. 81/08. I valori misurati sono utilizzati dal tecnico competente che effettua la valutazione del rischio rumore, calcolando i livelli di esposizione personali che saranno, infine, confrontati con i valori d’azione e il valore limite, entrambi indicati nel D. Lgs. 81/08.

DPI: Otoprotettori (tappi auricolari, cuffie isolanti, caschi)

La normativa di riferimento è costituita dal Titolo VIII, Capo II – D.Lgs. 81/08.

I valori limite di esposizione e i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco, sono fissati a:

A : Valore medio ponderato (LEX, 8h)

C : Valore massimo istantaneo (ppeak)

Valori inferiori di azione: 80 dB (A) – 135 dB (C)

Valori superiori di azione: 85 dB (A) – 137 dB (C)

Valori limite di esposizione: 87 dB (A) – 140 dB (C)

In caso di superamento solo dei valori inferiori d’azione il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori i DPI uditivi e, su loro richiesta o qualora il Medico Competente (MC) ne rilevi la necessità, estende la sorveglianza sanitaria.

Inoltre, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori vengano informati e formati sui rischi connessi all’esposizione al rumore.

In caso di superamento solo dei valori superiori d’azione il datore di lavoro sottopone i lavoratori a sorveglianza sanitaria e limita l’accesso alle aree dove i lavoratori possono essere esposti a livelli di rumore superiori a detto valore, mediante apposizione di segnaletica di sicurezza e/o delimitazione.

Ancora, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI uditivi, si accerta che vengano indossati e elabora ed applica un programma di misure tecniche ed organizzative volte a ridurre l’esposizione al rumore.

Sorgente

Livello (dB)

Soglia di Udibilità

0

Respiro Normale

10 (appena udibile)

Stormire di Foglie

20

Voce Bisbigliata

30 (molto quieto)

Ristorante Tranquillo

40

Ufficio Silenzioso

50

Conversazione tra 2 Persone

60

Interno Ufficio Rumoroso

70 (disturbante)

Traffico Stradale Rumoroso

80

Autotreno (a 15 metri)

90 (pericolo esposizioni prolungate)

Metropolitana

100

Complesso Rock

110

Martello Pneumatico

120 (soglia del dolore)

Fuoco di Mitragliatrice

130

Decollo piccolo Aviogetto

140

Galleria Aerodinamica

150

Decollo grande Aereo

170

3. RISCHIO VIBRAZIONI

Le vibrazioni sono oscillazioni meccaniche rispetto ad un punto di riferimento, determinate da onde di pressione che si trasmettono attraverso corpi solidi; le oscillazioni caratteristiche delle vibrazioni possono essere libere o forzate, ossia influenzate da una forza esterna come nel caso dell’utilizzo di strumenti da parte di un lavoratore.

La valutazione del rischio vibrazioni richiede di analizzare quei fenomeni che sollecitano il sistema “mano-braccio” e il sistema “corpo intero”.

Per eseguire la valutazione dei rischi connessi all’utilizzazione di macchine vibranti che interessano un solo braccio o entrambe le braccia contemporaneamente si fa riferimento alle disposizioni delle norme :

UNI EN ISO 5349-1 “Vibrazioni meccaniche – Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano”

UNI EN ISO 5349-2 “Vibrazioni meccaniche – Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano – Parte 2: Guida pratica per la misurazione al posto di lavoro”.

In genere si prendono misure Preventive (ad esempio “pause”), più che misure Protettive.

DPI: Guanti antivibranti (ATTENZIONE: i normali guanti da lavoro amplificano le vibrazioni)

4. RISCHIO CHIMICO

Si intende per rischio chimico: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli, sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato.

Gli agenti chimici di distinguono in:

gli agenti con proprietà pericolose di tipo chimico-fisico, a loro volta declinati in agenti infiammabili, esplosivi, comburenti e corrosivi;

gli agenti con proprietà tossicologiche, ulteriormente distinti a loro volta in sostanze nocive, sensibilizzanti, irritanti, tossiche, teratogene e cancerogene.

Un primo strumento per l’immediata valutazione della pericolosità eventuale di un prodotto chimico è costituito dall’etichettatura, che definisce nove diversi pittogrammi di rischio.

Il processo di valutazione del Rischio da esposizione ad agenti chimici si articola, su tre fasi fondamentali:

Valutazione del pericolo. Alla base vi è un’attenta e scrupolosa analisi della Scheda di Sicurezza del prodotto.

Valutazione dell’esposizione. Deve tenere conto delle modalità attraverso la quale i lavoratori esposti possono entrare in contatto con la sostanza, della frequenza di utilizzo, della quantità massima e di valutazioni ambientali e rilevazioni biologiche.

Caratterizzazione del rischio. Il Datore di Lavoro elabora una serie di misure preventive, protettive e di sorveglianza sanitaria, rivolte a eliminare o ridurre, la possibilità di esposizione alla sostanza nell’ambito dello scenario lavorativo analizzato, e in parallelo a monitorarne la presenza e la diffusione.

DPI: Respiratori e maschere facciali con filtri studiati in considerazione delle sostanze da cui devono proteggere, visiere e occhiali protettivi, guanti e indumenti con diverso grado di resistenza all’azione degli agenti corrosivi.

Nell’etichetta, ove possibile, i pittogrammi vengono accompagnati da indicazioni di pericolo (frasi H, Hazard statements) e consigli di prudenza (frasi P, Precautionary statements). Le prime rappresentano indicazioni di pericolo relative a sostanze chimiche e coprono pericoli fisici, pericoli per la salute, pericoli per l’ambiente. I cosiddetti consigli P sono prescrizioni di natura sanitaria rappresentano consigli di prudenza sia di carattere generale sia relativi alla prevenzione, reazione, conservazione e smaltimento delle sostanze chimiche. Le indicazioni di pericolo H e i consigli P hanno sostituito le frasi R e S rispettivamente delle precedenti direttive europee ed oggi abrogate dal Regolamento CLP (CE) n. 1272/2008.

5. RISCHIO BIOLOGICO

Si intende per agente biologico: qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.

Esistono tuttavia, come ben noto, diversi gradi di patogenicità e di virulenza, correlati anche a diversi scenari espositivi e vie di trasmissione; la classificazione di pericolosità degli agenti biologici tiene conto di tutte queste caratteristiche, mettendo in cima alla lista dei microrganismi più pericolosi, quelli con elevata virulenza

Risulta quindi evidente come una corretta valutazione del Rischio Biologico debba tenere conto sia della pericolosità intrinseca del microrganismo eventualmente presente, che della possibilità che questo venga in qualche modo trasmesso ai lavoratori.

Le aziende a rischio biologico sono sostanzialmente di due tipi:

quelle che utilizzano deliberatamente per le proprie attività organismi biologici

quelle che non fanno uso deliberato di agenti biologici ma che potenzialmente potrebbero comunque entrare in contatto con qualcuno di essi.

Per quanto concerne la prevenzione, un aspetto fondamentale è quello dell’attenzione alla formazione del personale potenzialmente esposto, che deve essere messo sempre a conoscenza sia delle potenziali sorgenti di infezioni (dirette o veicolate che siano) che dei possibili rischi da esposizione; una buona profilassi può tenere conto della somministrazione di opportuni vaccini, così come dall’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione collettiva e individuale.

Per le aziende a rischio biologico è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, che comprenda l’effettuazione di monitoraggi biologici periodici, definiti dal Medico Competente e dal datore di Lavoro, sulla base degli scenari di esposizione specifici, i cui risultati devono essere comunicati al lavoratore esposto.

Il Luogo di Lavoro deve essere separato dal luogo dove si fa la pausa o dove si pranza.

Procedura Pratica Rischio Biologico

5.1 Descrizione rischio biologico COVID-19

I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte.

In particolare:

I coronavirus umani comuni di solito causano malattie del tratto respiratorio superiore da lievi a moderate, come il comune raffreddore, che durano per un breve periodo di tempo.

I sintomi possono includere:

naso che cola

mal di testa

tosse

gola infiammata

febbre

una sensazione generale di malessere

Perdita di percezione degli odori e sapori

I coronavirus umani a volte possono causare malattie del tratto respiratorio inferiore, come polmonite o bronchite. Questo è più comune nelle persone con preesistenti patologie croniche dell’apparato cardio-vascolare e/o respiratorio, e soggetti con un sistema immunitario indebolito, nei neonati e negli anziani.

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DA ADOTTARE

Provvedere all’installazione di erogatori di gel disinfettanti con azione battericida e virucida,

Provvedere alla dotazione di guanti usa/getta e mascherine protettive.

In conformità con le indicazioni dettate dalla normativa nazionale, il datore di lavoro deve invitare i propri dipendenti a ricorrere alle comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria:

In questo caso ci troviamo di fronte ai sistemi di prevenzione più comuni:

lavarsi frequentemente e accuratamente le mani,

fare attenzione all’igiene delle superfici, evitare di avvicinarsi a meno di un metro gli uni dagli altri,

Indossare mascherine protettive e guanti protettivi.

COME COMPORTARSI CON I CASI SOSPETTI

Se il datore di lavoro si accorge della presenza di un soggetto che “risponde alla definizione di caso sospetto”, ha il dovere di:

Contattare immediatamente i servizi sanitari

Evitare contatti ravvicinati con la persona che potrebbe aver contratto il virus,

Fornire una maschera chirurgica

Prestare attenzione alle superfici con cui è venuto a contatto.

Far eliminare direttamente dal soggetto interessato i fazzoletti di carta utilizzati, gettandoli in un sacchetto impermeabile che sarà smaltito con i materiali prodotti durante le attività sanitarie del personale di soccorso.

QUANDO SOSPENDERE L’ATTIVITÀ LAVORATIVA

In presenza di casi sospetti, il datore di lavoro ha l’obbligo di sospendere l’attività lavorativa:

per i lavoratori che abbiano avuto contatti stretti e continuativi con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19 deve essere applicato smart working e telelavoro.

VIDEO: Stop alla pandemia: https://youtu.be/WuwsPCPxXis

6. RISCHIO INCENDIO

L’INCENDIO è una combustione che si manifesta in maniera non controllabile dall’uomo. La COMBUSTIONE è un fenomeno complesso, schematizzabile attraverso il TRIANGOLO DEL FUOCO:

COMBUSTIBILE – legno, carta, benzina, gas, ecc..

COMBURENTE – ossigeno contenuto nell’aria

CALORE O FONTE DI INNESCO – fiammifero, accendino, corto circuito, fulmine, ecc..

Affinchè ci sia combustione, è necessario che tutti e tre questi elementi siano presenti contemporaneamente. È quindi sufficiente riuscire a contrastare efficacemente anche uno solo di questi elementi per evitare che la combustione abbia luogo e si verifichi un INCENDIO.

Al triangolo del fuoco fa riscontro il TRIANGOLO DI ESTINZIONE, riportante i parametri antagonisti, necessari a contrastare l’incendio:

SOTTRAZIONE DEL COMBUSTIBILE – allontanamento o separazione della sostanza combustibile dal focolaio d’incendio

SOFFOCAMENTO O SOTTRAZIONE DI COMBURENTE – separazione del comburente dal combustibile o riduzione della concentrazione di comburente. (per esempio comprendo il combustibile)

RAFFREDDAMENTO O SOTTRAZIONE DI TEMPERATURA – sottrazione di calore fino ad ottenere una temperatura inferiore a quella necessaria al mantenimento della combustione.

Oltre a questi tre sistemi, esiste anche l’AZIONE CHIMICA DI ESTINZIONE (azione anticatalitica o catalisi negativa), mediante l’utilizzo di sostanze che inibiscono il processo della combustione (es. halon, polveri).

Gli estinguenti chimici si combinano con i prodotti volatili che si sprigionano dal combustibile, rendendo questi ultimi inadatti alla combustione, bloccando la reazione chimica della combustione.

Normalmente per lo spegnimento di un incendio si utilizza una combinazione delle operazioni di esaurimento del combustibile, di soffocamento, di raffreddamento e di azione chimica.

Le Misure di Protezione, finalizzate alla riduzione dei danni, in relazione alla necessità o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto, si suddividono in:

Misure di Protezione PASSIVA – NON richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto. Sono finalizzate alla limitazione degli effetti dell’incendio nello spazio e nel tempo.

Esempi: Isolamento, Distanze di sicurezza, Resistenza al fuoco, Reazione al fuoco dei materiali, Ventilazione, Vie d’uscita, ecc.

Misure di Protezione ATTIVA – Richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto, sono finalizzate alla precoce rilevazione dell’incendio, alla segnalazione ed all’azione di spegnimento.

Esempi: Estintori, Rete idrica antincendio, Impianti di rivelazione automatica d’incendio, Impianti di spegnimento automatici, Dispositivi di segnalazione e d’allarme, Evacuatori di fumo e calore, ecc.

Gli ESTINTORI sono i mezzi di primo intervento più impiegati per i principi di incendio. Non sono efficaci se l’incendio è in una fase più avanzata. Essi devono essere sottoposti ad una verifica periodica ogni 6 mesi.

ESTINGUENTI

L’estinzione dell’incendio, si può ottenere mediante raffreddamento, sottrazione del combustibile, soffocamento e azione chimica, ottenuti singolarmente o contemporaneamente.

È fondamentale conoscere proprietà e modalità d’uso delle principali sostanze estinguenti:

ACQUA

SCHIUMA

POLVERI

GAS INERTI

Tipologie e caratteristiche degli estinguenti

Estinguente

Azione estinguente

Consigliato per estinguere

ACQUA

Estinguente facilmente reperibile, la sua azione consiste in: raffreddamento, soffocamento per sostituzione dell’ossigeno con vapor d’acqua, diluizione di sostanze, imbevimento di combustibili solidi.

Incendi di combustibili solidi (classe A). Non utilizzabile su apparecchiature elettriche (ex. classe E).

SCHIUMA

Costituita da soluzione in acqua di liquido schiumogeno, che a contatto con l’aria si trasforma in schiuma. La sua azione consiste in: soffocamento e, in minima parte, raffreddamento

Incendi di liquidi infiammabili (classe B). Non utilizzabile su apparecchiature elettriche (ex. classe E) e su fuochi di combustibili metallici (classe D).

POLVERI

Costituite da particelle solide finissime, a base di bicarbonato di sodio, potassio, sali organici e fosfati. La sua azione è di tipo chimico, di raffreddamento e di soffocamento.

Apparecchiature elettriche in tensione, ma possono danneggiare apparecchiature e macchinari.

GAS INERTI

Principalmente utilizzata l’anidride carbonica (CO2), in quanto non è tossica, è più pesante dell’aria, è dielettrica (non conduce elettricità), si conserva come gas liquefatto. Riduce la concentrazione di comburente fino a impedire la combustione, agisce anche per raffreddamento.

Apparecchiature elettriche in tensione.

Per quanto riguarda la gestione dell’emergenza, i protagonisti sono:

Addetto al servizio antincendio – Svolge un importante ruolo nella prevenzione incendi, mediante il controllo periodico dei luoghi di lavoro e la segnalazione di eventuali anomalie favorevoli allo sviluppo di un focolaio. L’addetto antincendio è designato dal Datore di Lavoro, il quale provvede alla sua formazione ecc..

Datore di lavoro – Garantisce la presenza di mezzi di estinzione idonei alla classe di incendio ed al livello di rischio presente sul luogo di lavoro, organizza i rapporti con i servizi pubblici, designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dai luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso ed in generale di gestione dell’emergenza ecc…(egli deve garantire la documentazione di emergenza).

Lavoratori – Devono allontanarsi dal posto di lavoro in caso di pericolo, prendere misure necessarie per evitare le conseguenze di qualsivoglia pericolo sopraggiunto, accettare la designazione ad addetto del servizio di emergenza, rispettare e far rispettare il divieto di fumo degli ambienti, non ostruire i percorsi di esodo ecc..

MISURE DA ADOTTARE DALL’ADDETTO AL SERVIZIO ANTINCENDIO DURANTE UN’EMERGENZA

Una volta avvisato dell’emergenza in atto deve subito recarsi sul posto e valutare l’entità dell’emergenza;

Se l’emergenza è di lieve entità, controllabile mediante l’uso di estintori, per esempio, deve adoperarsi per far rientrare la situazione;

Nel caso in cui egli non riesca a controllare l’evento deve dare immediatamente inizio alla procedura di evacuazione, attivando il dispositivo acustico per la segnalazione di allarme o dando istruzioni ad altri per agire in merito;

Avvisare gli addetti alle chiamate di emergenza (di solito il centralino) chiedendo di allertare i soccorsi esterni;

Agire su valvole e interruttori per inibire il flusso di gas pericolosi e/o corrente elettrica;

Isolare il luogo in cui sta avvenendo l’emergenza, assicurandosi dell’effettiva chiusura delle porte tagliafuoco;

Aiutare le persone presenti ad evacuare, in special modo, uno o più addetti devono occuparsi delle persone con capacità visive o mobilità ridotte e assicurarsi che tutti raggiungano il punto di ritrovo;

Verificare l’effettivo abbandono di tutti i locali, chiudendo a chiave le porte dietro di sé;

Fare l’appello del personale, per accertarsi che tutti siano giunti al punto di ritrovo, in caso negativo iniziare le ricerche e informare i soccorsi esterni;

Supportare i soccorsi esterni dando le informazioni del caso;

Segnalare la fine dell’emergenza quando la situazione di pericolo è cessata;

Chiedere la rimessa in esercizio degli impianti e la ripresa dell’attività, in seguito agli accertamenti sulla sicurezza degli impianti e dei fabbricati.

La segnaletica di salvataggio ed antincendio appartiene al campo più generale delle prescrizioni previste per la segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro. Fra questi si collocano i segnali di salvataggio o di soccorso, che forniscono indicazioni relative alle uscite di sicurezza o ai mezzi di soccorso o di salvataggio e sono di forma quadrata o rettangolare ed hanno un pittogramma bianco su fondo verde.

La segnaletica antincendio invece è destinata ad identificare e ad indicare l’ubicazione dei materiali e delle attrezzature antincendio. E’ di forma quadrata o rettangolare ed ha pittogramma bianco su fondo rosso.

Segnali antincendio Segnali di Salvataggio e Soccorso

7. RISCHIO ESPLOSIONE

Il Rischio Esplosione è normalmente associato ad un potenziale danno di elevata magnitudo: le esplosioni determinano tipicamente gravi danni alle strutture e infortuni gravi e anche mortali per i lavoratori.

Le prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere potenzialmente esplosive sono indicate dalla Direttiva Europea 1999/92/CE del 16 dicembre 1999.

Inizialmente recepita con il D.Lgs. 233/2003, che modificava e integrava il D.Lgs. 626/94, la Direttiva attualmente è richiamata nel Titolo XI Protezione da atmosfere esplosive (artt. 287-297) del D.Lgs. 81/08.

QUANDO SIAMO IN PRESENZA DI UN’ATMOSFERA ESPLOSIVA?

Si definisce “atmosfera esplosiva” una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo l’accensione, la combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta (art. 288, D. Lgs. 81/08), è sufficiente che in un’attività siano presenti, durante le normali condizioni di lavoro, o accidentalmente, sostanze combustibili e/o infiammabili miscelate con l’aria nelle giuste proporzioni (miscelazione compresa nel campo di esplodibilità) per determinare una possibile presenza di atmosfere esplosive.

8. RISCHIO MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

La movimentazione manuale dei carichi viene definita dal Testo Unico come: “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari”.

Si intende per rischio sollevamento e trasporto l’attività caratterizzate da operazioni prevalenti di prelievo, trasporto e rilascio manuale di un carico di dimensioni e peso definiti.

Es: carico o scarico manuale di confezioni su pallets, collocazione di faldoni su uno scaffale, carico di mattoni su una carriola.

Si intende per rischio traino e spinta l’attività caratterizzate da operazioni prevalenti di spinta e/o traino di un oggetto, con o senza ruote

Es: spinta di un carrello per il trasporto di manufatti, trasporto di oggetti per mezzo di un transpallet, traino di sacchi sul pavimento.

Si intende per rischio movimenti ripetitivi l’attività caratterizzate da cicli che si ripetono uguali a loro stessi a intervalli di tempo definiti. Il loro svolgimento può comportare l’effettuazione di movimenti ripetuti degli arti superiori, per spostamento di oggetti di peso ridotto o

semplicemente per compiere alcune azioni.

Es: attività lungo una linea di montaggio, attività di cassa al supermercato, carteggiatura della superficie, stiratura di indumenti.

Nel procedere alla valutazione del rischio il Datore di Lavoro deve considerare l’incidenza di vari fattori tra cui:

l’età, il genere e l’idoneità fisica dei lavoratori interessati dalla mansione;

la frequenza con cui viene eseguita l’operazione di movimentazione manuale dei carichi;

la presenza o meno nel processo di lavoro di un sistema di gestione che preveda, ad esempio, il sollevamento di squadra.

dei fattori di rischio legati al tipo di lavoro che viene effettuato con riferimento alla posizione assunta dal lavoratore (è inginocchiato, è costretto a piegarsi in avanti ecc.), al tipo di carico che deve essere movimentato e alle caratteristiche del luogo di lavoro.

Procedura pratica rischio MMC e SBAS (sovraccarico biomeccanico degli arti superiori)

9. RISCHIO MECCANICO

Per rischio meccanico si intende il pericolo legato all’uso di macchinari e attrezzature da lavoro.

I principali pericoli legati al rischio meccanico:

Schiacciamento: una parte del corpo rimane schiacciata da 2 elementi meccanici in movimento.

Cesoiamento: asportazione di una parte del corpo.

Taglio o sezionamento: dovuti ad un elemento meccanico tagliente.

Impigliamento, trascinamento o intrappolamento: una parte del corpo viene catturata da elementi meccanici rimanendo incastrata tra gli stessi.

Urto: colpo dovuto a parti meccaniche in movimento.

Perforazione o puntura: penetrazione di un elemento acuminato in una parte del corpo.

Attrito o abrasione: sfregamento tra una parte del corpo e un elemento meccanico che può generare anche escoriazioni.

Proiezione di fluidi, corpi solidi o parti di macchina: ad esempio schizzi o schegge che possono colpire il lavoratore.

Scivolamento, inciampo o caduta: frequenti nei lavori in quota.

I DPI utilizzati per il rischio meccanico sono:

Scarpe antinfortunistiche

Guanti protettivi

Caschi ed elmetti

Maschere e visiere

Abbigliamento

10. RISCHIO ATTREZZATURA DA LAVORO

Il datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi alle attrezzature di lavoro e per impedire che tali attrezzature siano usate per condizioni e scopi non adatti, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative.

Il datore prende le misure necessarie affinché siano:

installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso

oggetto di idonea manutenzione

assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza

siano curati la tenuta e l’aggiornamento del registro di controllo

L’uso dell’attrezzatura di lavoro deve essere riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una formazione, informazione ed addestramento adeguato.

Inoltre, durante l’utilizzo dell’attrezzatura da lavoro i lavoratori devono indossare I DPI:

Scarpe antinfortunistiche

Guanti protettivi

Caschi ed elmetti

Maschere e visiere

Abbigliamento

11. RISCHIO ELETTRICO E FULMINAZIONE

Al rischio elettrico sono sempre associate due grandezze, la “corrente elettrica” e la “tensione”.

Al passaggio di corrente nei circuiti segue uno sviluppo di calore dipendente dal valore della “resistenza” del circuito e, in misura maggiore, dal valore dell’intensità di corrente. In generale, il calore sviluppato in parte viene trasmesso all’ambiente esterno, in parte determina un aumento di temperatura del “conduttore” e degli “isolanti” del circuito.

Se il fenomeno termico non è correttamente gestito, l’aumento di temperatura può provocare il danneggiamento degli isolanti; in taluni casi, questi diventano oggetto di una combustione localizzata che può evolvere in un incendio.

La presenza di una tensione tra i vari punti del circuito comporta altre criticità:

la possibilità che si verifichi un “corto circuito”, se i due punti a tensione differente entrano in contatto;

l’innesco di “archi elettrici”, se l’isolante non è opportunamente scelto e dimensionato in funzione del valore di tensione e delle condizioni ambientali;

il passaggio di correnti attraverso il corpo umano, qualora questo entri simultaneamente in contatto con due parti tra cui è presente la tensione. Tali correnti possono generare effetti fisiopatologici (“shock elettrico”) variabili in funzione del valore della corrente e della durata del contatto che, nei casi più gravi, possono essere letali.

Entrando nel merito alla valutazione del rischio elettrico, l’art 80 del D.Lgs 81/08, indica prima di tutto le diverse tipologie di pericolo che possono presentarsi, distinguendo tra contatto elettrico diretto (quando la scarica viene trasmessa al corpo direttamente da una fonte di energia) e quello indiretto (quando vi è passaggio di corrente attraverso un elemento conduttore come può essere l’acqua o un metallo).

Gli eventuali danni all’organismo che possono verificarsi in seguito ad un incidente di natura elettrica, variano in base alla durata dell’esposizione, alla frequenza ed all’intensità della corrente. Si parla quindi di folgorazione (o elettrocuzione) quando vi è passaggio di corrente attraverso il corpo, in questo caso si possono manifestare danni cardiaci (fibrillazione), muscolari (tetanizzazione) e nervosi con seria compromissione delle funzioni sensitive e motorie.

Danni meno significativi si possono avere per contatti brevi o per correnti di bassa intensità, sono generalmente localizzati nel punto di contatto e possono manifestarsi con ustioni locali o ipersensibilizzazione della zona colpita dalla scarica.

Rischio fulminazione: il fulmine è un fenomeno di origine naturale, non prevedibile, dagli effetti spesso distruttivi e dal quale non sempre è possibile difendersi completamente. La protezione contro i fulmini deve perciò essere affrontata senza la pretesa di riuscire ad annullarne la forza distruttiva ma, più modestamente, con lo scopo di ridurre la probabilità di danno entro limiti accettabili.

Un fulmine che investe una struttura può provocare danni, oltre che alla struttura stessa, ai suoi occupanti, ai beni che contiene, agli impianti, elettrici e/o di segnale, e alle apparecchiature. I danni, inoltre, possono estendersi anche all’ambiente circostante e alle strutture vicine in relazione alle caratteristiche del fulmine e alla struttura colpita.

12. RISCHIO VIABILITÀ AZIENDALE

Per viabilità aziendale si intende tutto ciò che è connesso con lo spostamento delle persone, dei mezzi di trasporto, delle materie prime e dei prodotti all’interno degli spazi aziendali, siano questi reparti chiusi o aree esterne.

La tendenza è spesso quella di considerare la sicurezza della viabilità interna solo per gli aspetti che riguardano il trasporto o l’esodo in caso d’emergenza; la viabilità generale viene invece spesso vissuta come un problema complementare, difficilmente gestibile per il suo carattere precario e dinamicamente variabile in base a diversi fattori contingenti quali le possibili interferenze causate da ditte esterne (fornitori e manutentori), la varietà e molteplicità dei percorsi e degli stazionamenti dei mezzi di trasporto interni ed esterni, dei pedoni, etc. Bisogna invece puntare ad un organizzazione che consideri importante anche il problema della viabilità come una possibile causa di incidenti importanti per investimento nelle aziende.

Occorre quindi affrontare in modo organico il problema della viabilità con disposizioni e regole certe definite dall’azienda:

Semplificare e ridurre il più possibile i flussi dei prodotti, basandosi sul layout aziendale e limitare al massimo le operazioni di trasporto interno, anche utilizzando, dove possibile, dei sistemi automatici di avanzamento dei prodotti, quali, ad esempio, i nastri trasportatori.

Riunire in un unico blocco, se possibile, gli spogliatoi, i servizi igienici, i lavabo, le docce ed i locali di riposo: una razionale dislocazione dei servizi igienico-assistenziali permette di realizzare delle strutture complete, agevoli da gestire limitando così le necessità di transito dei pedoni all’esterno dei fabbricati.

Qualora vi fossero due accessi stradali è buona regola optare per il senso unico nei piazzali esterni dedicando un accesso all’entrata e l’altro all’uscita; in questo modo si dimezza automaticamente anche il rischio di investimento da camion e carrelli.

Deve essere data la massima diffusione di quanto definito a tutti i lavoratori, fornitori e visitatori, relativamente a quali siano le regole di viabilità che vigono in azienda

13. RISCHIO CADUTA DALL’ALTO (LAVORI IN QUOTA)

Le cadute dall’alto dei lavoratori rappresentano circa un terzo degli infortuni mortali sui luoghi di lavoro dove il settore di attività maggiormente colpito è quello delle costruzioni, seguito dall’agricoltura. In circa due casi su tre si rileva un errore di procedura che si riferisce a situazioni in cui l’infortunato si trova a transitare su superfici non portanti e, quindi, non calpestabili.

Per lavoro in quota si intende un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. Nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possano essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate, a partire da un luogo adatto allo scopo, è necessario scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri a prescindere dalla modalità specifica dell’incidente:

priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi;

scelta del tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego.

Si devono inoltre individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute.

Le modalità di incidente possono essere :

Cadute per sfondamento di coperture

Si evidenzia la necessità di dotare l’area di lavoro di opportuni piani di camminamento per effettuare i lavori in sicurezza e di disporre impalcati di protezione o reti di sicurezza al di sotto della copertura. Ove non sia possibile adottare tali misure collettive si rende necessario dotare gli operatori di sistemi di protezione individuali idonei per l’uso specifico.

2. Cadute da ponteggi ed impalcature fisse

Il fattore di rischio più frequente è rappresentato, da utensili, macchine, impianti e la problematica che emerge è la mancanza di protezioni fisse in più di un caso su due. A questo si aggiunge il fattore relativo alla modalità operativa del lavoratore, con un problema legato alle procedure di lavoro in due casi su tre.

Cadute all’interno di un varco

L’evento infortunistico è determinato dai fattori riferibili all’organizzazione dell’ambiente, con una mancanza di protezioni del varco o di parapetti in più di due casi su tre, e alle modalità operative del lavoratore, che transita comunque su percorsi pericolosi, non protetti e non segnalati.

4. Cadute da scale portatili

Le scale portatili, presentano un problema di adeguatezza all’uso specifico, devono essere costruite con materiale adatto alle condizioni di impiego. Esse devono inoltre essere provviste di dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori dei due montanti e di ganci di trat- tenuta o dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità superiori.

Quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute al piede da altra persona. Si evidenzia poi la necessità di utilizzare scale appropriate alla natura del lavoro da svolgersi (con riferimento alla quota, alla pendenza dei luoghi e alla durata).

14. RISCHIO CANCEROGENO

Gli agenti cancerogeni e mutageni sono in grado di provocare alterazioni genetiche e neoplasie nei soggetti esposti.

Il tema dell’epidemiologia dell’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni in ambito professionale e delle neoplasie correlate è complesso per diverse ragioni, fra le quali il lungo periodo di latenza tra esposizione ed insorgenza dei sintomi patologici, la multifattorialità nell’eziopatogenesi tumorale che non consente di isolare facilmente il rischio esclusivamente professionale e la difficoltà nel redigere anamnesi accurate.

Sostanze o preparati cancerogeni e/o mutageni sono presenti in diversi settori.

15. RISCHIO CAMPI ELETTROMAGNETICI

Il rischio da campi elettromagnetici (CEM) è un rischio che appartiene alle “Radiazioni non Ionizzanti” (che comprendono anche le radiazioni ottiche e cioè i raggi ultravioletti, le radiazioni del visibile, i raggi infrarossi) e viene considerato dal D.Lgs.81/2008 tra gli “Agenti Fisici” al Titolo VIII e in particolare dal Capo IV.

Il T. U. sulla salute e sicurezza sul lavoro mira essenzialmente a prevenire sia gli effetti biologici di tipo diretto, come il riscaldamento cutaneo, che quelli di tipo indiretto, come le interferenze con dispositivi medici impiantati sul corpo.

I CEM comprendono :

radiofrequenze (RF)

microonde (MO), le cosiddette ELF

radiazioni a frequenze estremamente basse

campi elettrici e magnetici statici.

I rischi da CEM non comprendono i rischi da contatto con parti in tensione che sono oggetto di altra normativa.

La valutazione, la misurazione e il calcolo devono essere effettuati tenendo conto in particolare di:

a) livello, spettro di frequenza, durata e tipo dell’esposizione;

b) valori limite di esposizione e valori d’azione;

c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio.

Numerose attività lavorative possono comportare esposizioni a campi elettromagnetici, cioè nell’intervallo di frequenza da 0 Hz fino a 300 GHz , a livelli di campo sensibilmente più elevati di quelli in gioco nelle tipiche esposizioni della popolazione.

Gli effetti dell’interazione dei campi elettrici e magnetici con i tessuti biologici si differenziano in relazione alle frequenze del campo elettrico e magnetico; si prendono pertanto in considerazione due differenti tipologie di campi elettromagnetici:

1. Campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde (10 kHz – 300 GHz).

2. Campi elettromagnetici ELF (frequenze estremamente basse) e statici

In questo intervallo di frequenza (10 kHz – 300 GHz) l’effetto biologico è quello dell’assorbimento di energia all’interno del corpo umano, con conseguente innalzamento della temperatura del tessuto. Per tale effetto sono note una serie di relazioni dose-risposta, su cui si basano gli attuali standard protezionistici.

Gli standard protezionistici attuali ci dicono che non ci sono effetti termici al di sotto di 4 W/kg poiché a tali livelli di esposizione non è associato un innalzamento significativo di temperatura del corpo. Ovviamente, a seconda di quanta energia viene assorbita si ottengono effetti differenziati, che possono andare dall’innalzamento della temperatura corporea di pochi gradi con la conseguente attivazione del sistema di termoregolazione dell’individuo esposto, ad effetti da stress termico, fino a vere e proprie ustioni e necrosi da radiofrequenze. L’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti), che è la massima autorità del campo, fissa gli standard protezionistici che ogni Paese dovrà recepire nella propria normativa.

In quasi tutti i luoghi di lavoro, il personale può essere esposto ai campi elettromagnetici che vengono generati ogni qualvolta si utilizza energia elettrica. Qualunque dispositivo, macchinario, impianto alimentato ad energia elettrica emette infatti campi elettrici, campi magnetici e campi elettromagnetici. Le sorgenti più comunemente conosciute sono, senza ombra di dubbio, gli elettrodotti e, in generale, gli apparati per la radiocomunicazione.

Tuttavia, oltre a queste sorgenti di immediata individuazione, negli ambienti di lavoro vi sono molte altre sorgenti di una certa consistenza che possiamo individuare, a partire dalle cabine di trasformazione media/bassa tensione, ai processi di saldatura manuale o automatica (a filo, oppure ad elettrodo o a radiofrequenza), ai forni ad induzione magnetica piuttosto che alla tempra ad induzione: ma queste sono solo alcune delle sorgenti più significative presenti in ambito industriale, senza contare, poi, quelle presenti in ambito sanitario quali, ad esempio, gli apparati di risonanza magnetica.

Dal momento che i campi elettromagnetici sono quindi presenti un po’ ovunque nell’ambiente industriale ma, purtroppo, a differenza di tanti altri rischi, risultano invisibili all’occhio umano, risulta fondamentale, per poter effettuare un’adeguata valutazione del rischio derivante da questo agente fisico, effettuare preliminarmente un censimento finalizzato ad individuare tutte le potenziali sorgenti di radiazione elettromagnetica presenti in azienda: di seguito una breve panoramica delle principali sorgenti di campi elettromagnetici (suddivise per banda di frequenza) presenti in ambito industriale che sicuramente necessitano di essere prese in considerazione ed esaminate con attenzione.

SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI STATICI.

Tali tipologie di sorgenti sono spesso presenti in corrispondenza di apparecchiature alimentate da tensione continua o linee percorse da elevate correnti continue. Un esempio è rappresentato dai processi di elettrolisi oppure dai macchinari per la produzione di grandi elettrodi per archi voltaici.

SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI ELF (EXTREMELY LOW FREQUENCY).

Queste sorgenti sono invece spesso associate al trasporto e all’impiego dell’energia elettrica. Ogni linea elettrica aerea o interrata, cablaggio, barra di trasmissione, cavo, costituisce quindi una sorgente di dispersione nell’ambiente circostante.

A titolo di esempio, a livello di reti di distribuzione dell’energia elettrica, vanno sicuramente considerate

Le cabine elettriche di trasformazione MT/BT;

I quadri elettrici di potenza con correnti superiori a 100 A;

I power center con interruttori superiori a 100 A;

I motori elettrici di potenza superiore a 50 kW;

e, più in generale,

Ogni installazione elettrica con una intensità di corrente di fase > 100 A;

Ogni singolo circuito all’interno di una installazione con una intensità di corrente di fase > 100 A;

Qualsiasi circuito nudo aereo di tensione superiore a 100 kV, o linea aerea superiore a 125 kV, sovrastante il luogo di lavoro, o a qualsiasi tensione nel caso di luogo di lavoro (vedasi Tabb. 1-2 EN 50499).

L’esposizione degli addetti alle centrali elettriche non può quindi essere sottovalutata, con un’attenzione particolare per gli addetti alla manutenzione delle linee. Molti sono peraltro gli impianti industriali dotati di sottostazione autonoma per l’alimentazione elettrica, con esposizioni parimenti significative.

In ogni caso, spesso all’interno delle realtà industriali sussiste la necessità di distribuire l’energia all’interno degli impianti, con il rischio di ritrovarsi alcune postazioni di lavoro a ridosso di cablaggi, con conseguente presenza di elevati livelli di campo magnetico.

Inoltre, ogni apparecchiatura alimentata con correnti elevate costituisce una potenziale sorgente.

SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI A FREQUENZA SUPERIORE (RF E MO).

Queste ultime tipologie di sorgenti sono invece normalmente associate a riscaldatori utilizzati in vari ambiti industriali. Tali macchine si basano sulla trasformazione in calore dell’energia elettromagnetica assorbita dal materiale oggetto di trattamento. Le applicazioni sono numerose e, di conseguenza, il numero di apparecchiature di tale genere utilizzato all’interno delle attività produttive risulta essere estremamente elevato.

È possibile, in via generale, suddividere i riscaldatori industriali in tre categorie in base al principio e alle modalità di funzionamento:

A microonde;

A perdite dielettriche;

A induzione magnetica.

I riscaldatori a microonde si trovano prevalentemente impiegati nell’ambito dell’industria alimentare: essi rappresentano l’equivalente dei comuni forni di uso domestico con potenze di utilizzo, in questo caso, molto più elevate.

Gli apparecchi per riscaldamento a perdite dielettriche sono invece in grado di produrre calore direttamente all’interno del materiale lavorato. I due strati di materiale da trattare vengono pressati tra due elettrodi a piastre di dimensioni variabili, che costituiscono l’applicatore e che risultano essere alimentati con la radiofrequenza tramite barre metalliche che possono trasportare anche notevoli quantità di corrente.

I riscaldatori ad induzione magnetica sfruttano, da ultimo, intensi campi magnetici per produrre calore all’interno di metalli e semiconduttori. Essi trovano largo impiego sia nell’industria del trattamento dei materiali metallici (saldatura, indurimento, tempera, fusione, ecc.), che in quella elettronica.

Sulla base di rilievi strumentali, eventualmente condotti in diverse configurazioni e condizioni di funzionamento delle apparecchiature, sarà possibile verificare l’intensità del campo elettrico e magnetico emesso dalle varie sorgenti in modo da confrontarlo coi limiti previsti dalla normativa sia per la popolazione che per i lavoratori, valutando inoltre l’attuazione di semplici interventi di bonifica e contenimento o l’adozione di più corrette procedure di impiego finalizzati ad ottenere una riduzione dell’esposizione.

16. RISCHIO RADIAZIONI IONIZZANTI

Si parla di radiazione ionizzante quando “l’energia delle onde elettromagnetiche (EM) o radiazioni è sufficientemente alta” ed è “in grado di rimuovere gli elettroni dagli atomi e/o dalle molecole della materia (ionizzazione)”.

Quando le radiazioni ionizzanti causano ionizzazione ed eccitazione delle molecole, inducono “un danno agli organismi viventi”: il sistema biologico esposto ad un campo di radiazioni ionizzanti “diviene sede di una serie di processi chimici, fisici e biologici, originati dal trasferimento di energia da parte della radiazione, che possono indurre un effetto sanitario sull’organismo stesso”.

Le radiazioni ionizzanti sono onde elettromagnetiche e particelle capaci di causare, direttamente o indirettamente, la ionizzazione degli atomi e delle molecole dei materiali che attraversano. In pratica, nell’attraversare la materia, queste radiazioni riescono a sottrarre, in virtù della loro energia, elettroni dagli atomi (o molecole), creando così una coppia di particelle cariche.

Le radiazioni ionizzanti possono essere di due tipi:

radiazioni di natura corpuscolare, fondamentalmente particelle subatomiche o nucleari dotate di una certa massa e, spesso, di carica elettrica; secondo le leggi della fisica quantistica tali particelle, sebbene siano corpi dotati di massa, possono comportarsi come onde e durante i processi di interazione con la materia possono cedere energia al mezzo attraversato;

radiazioni di natura ondulatoria, chiamate “fotoni”, costituite da particelle di massa nulla e sprovviste di carica elettrica.

Si usa distinguere tra radiazioni direttamente ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente ionizzanti le particelle cariche (elettroni, particelle β, particelle α, ecc.); sono invece indirettamente ionizzanti i fotoni (raggi X e raggi γ), e le particelle neutre (neutroni).

Si indica, inoltre, che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti “può comportare due forme di rischio separate a seconda che si tratti di:

sorgenti sigillate (irradiazione esterna): “si presentano sotto forma di solidi compatti non friabili oppure sono incapsulate in materiali metallici inattivi”;

sorgenti non sigillate (irradiazione esterna ed interna): sono “costituite da sostanze radioattive utilizzate nello stato fisico e chimico nel quale si trovano (polveri, liquidi, gas) senza nessun incapsulamento e, quindi, facilmente disperdibili”.

E gli accorgimenti da adottare “per evitare irradiazioni di entità non trascurabile, sono schermature, tempo minimo di manipolazione, distanza sufficiente dalle sorgenti e adozione di opportune ed idonee procedure di lavoro”. Mentre gli effetti dannosi sull’organismo sono in funzione “dell’energia che viene ceduta, trasferita, depositata ed assorbita dall’organismo (o da un suo organo o tessuto)”.

In quali comparti e ambiti lavorativi si può essere esposti a questa tipologia di radiazioni?

Queste le attività le più significative:

il ciclo del combustibile nei reattori nucleari di potenza;

la produzione e l’uso di radioisotopi (medicina, industria ecc.);

le decontaminazioni;

la disattivazione degli impianti nucleari.

Inoltre si segnala che se un consistente contributo alla radioattività totale è “dovuto ai rifiuti provenienti dalla disattivazione delle installazioni nucleari”, le “sorgenti di radiazione utilizzate in ambito sanitario (terapia e diagnostica medica) sono svariate”.

Questo è un breve elenco delle principali attività:

radiologia;

radioterapia;

radioterapia con sorgenti per brachiterapia;

medicina nucleare;

laboratori RIA (Radio ImmunoAssay).

17. RISCHIO RADIAZIONI OTTICHE ARTIFICIALI

Per radiazioni ottiche si intendono tutte le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezza d’onda compresa tra 100 nm e 1 mm. Lo spettro delle radiazioni ottiche si suddivide in radiazioni ultraviolette, radiazioni visibili e radiazioni infrarosse. Queste sono a loro volta suddivise in:

radiazioni ultraviolette: radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 100 e 400 nm;

radiazioni visibili: radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 380 e 780 nm;

radiazioni infrarosse: radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 780 nm e 1 mm.

Le sorgenti di radiazioni ottiche possono inoltre essere classificate in coerenti e non coerenti.

Le prime emettono radiazioni in fase fra di loro (i minimi e i massimi delle radiazioni coincidono), e sono generate da LASER (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation – Amplificazione della luce per emissione stimolata di radiazione), mentre le seconde emettono radiazioni sfasate e sono generate da tutte le altre sorgenti non LASER e dal Sole.

Tutte le radiazioni ottiche non generate dal Sole sono di origine artificiale.

18. RISCHIO AMIANTO

L’amianto è un insieme di minerali del gruppo degli inosilicati (serie degli anfiboli) e del gruppo dei fillosilicati (serie del serpentino) di consistenza fibrosa e cancerogeni. Per diventare amianto i minerali di partenza devono subire particolari processi idrotermali di bassa pressione e bassa temperatura. Secondo la normativa italiana, l’amianto è inalabile: infatti è tipicamente formato da singole fibre più lunghe di 5 µm e con rapporto lunghezza / larghezza di almeno 3:1.

La sua ormai accertata nocività per la salute ha portato a vietare l’uso in molti paesi. Se respirate, le polveri contenenti fibre d’amianto possono infatti causare gravi patologie, tra cui l’asbestosi, tumori della pleura e il carcinoma polmonare.

La bonifica dell’amianto può avvenire utilizzando tre diversi metodi:

rimozione, eliminare materialmente la fonte di rischio;

incapsulamento, impregnare il materiale con l’uso di prodotti penetranti e ricoprenti;

confinamento, installare delle barriere in modo da isolare l’inquinante dall’ambiente.

La rimozione è il procedimento maggiormente utilizzato perché elimina ogni potenziale fonte di esposizione e ogni bisogno di attuare cautele rispettive alle attività che vengono svolte nell’edificio. Gli svantaggi che porta questo tipo di bonifica sono: esposizione dei lavoratori a livelli elevati di rischio, produzione di contaminanti ambientali, produzione di alti quantitativi di rifiuti tossici e nocivi che devono essere smaltiti in determinati depositi, tempi di realizzazione lunghi e costi molto elevati.