CORSO DI FORMAZIONE PER RLS

Modulo 2 – PRINCIPALI SOGGETTI COINVOLTI E ASPETTI NORMATIVI DELL’ATTIVITÀ DI RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI

“D.LGS. 81/08 e D.M. 10/03/1998”

SOMMARIO

1. TUTELA ASSICURATIVA

1.1 IMPATTO DELLA LEGGE 231/07 NEL T.U.

1.2 IMPATTO DELLA LEGGE 123/01 NEL T.U.

2. STATISTICHE E REGISTRO INFORTUNI

2.1 ALCUNI DATI

2.2 IL REGISTRO INFORTUNI

2.3 SETTORE AGRICOLO

3. OBIETTIVI DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI

4. CONCETTI DI RISCHIO, PERICOLO, ESPOSIZIONE

4.1 CRITERI GENERALI

4.2 FASE PRELIMINARE

4.3 IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO

4.4 IDENTIFICAZIONE DEI LAVORATORI ESPOSTI

4.5 STIMA DELL’ENTITÀ DELLE ESPOSIZIONI AI PERICOLI

4.6 STIMA DELLA GRAVITÀ E DELLA PROBABILITÀ DEGLI EFFETTI

5. LA VALUTAZIONE DEI RISCHI

5.1 ORIENTAMENTI GENERALI

5.3 LA SOGGETTIVITÀ NEL VALUTARE

5.4 VALUTAZIONE SEMPLIFICATA E PRIMI APPROCCI ALLA VALUTAZIONE

5.5 CHI CONCORRE ALLA VALUTAZIONE

5.6 COSA FARE IN PRATICA

6. PREVENZIONE INCENDI

6.1 COMBUSTIONE

6.2 COMBUSTIBILE

6.3 COMBUSTIBILI SOLIDI

6.4 COMBUSTIBILI LIQUIDI

6.5 COMBUSTIBILI GASSOSI

6.6 COMBURENTE

6.7 SORGENTI DI INNESCO

6.8 COMBUSTIONE E FUMO

6.9 FUMO

7. SISTEMI ANTINCENDIO MOBILI

7.1 GLI ESTINTORI

7.2 REGISTRO ANTINCENDIO

8. PRONTO SOCCORSO

9. PIANO DI EMERGENZA

9.2 IL PIANO DI EMERGENZA (PE) LEGATO AI RISCHI PROPRI DELL’ATTIVITÀ

9.3 CRITERI GENERALI PER LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO DI EMERGENZA

9.3 CHECK LIST PER LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO DI EMERGENZA (PE)

10. SORVEGLIANZA SANITARIA

10.1 PREMESSA

10.2 QUANDO VA FATTA

10.3 CHI LA PUÒ EFFETTUARE

10.4 COSA FA IL MEDICO COMPETENTE

10.5 ACCERTAMENTI INTEGRATIVI

10.6 COSA COMPRENDE

10.7 ACCERTAMENTI SANITARI DA TOSSICODIPENDENZA

10.8 LA CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO

1. TUTELA ASSICURATIVA

1.1 IMPATTO DELLA LEGGE 231/07 NEL T.U.

Come già detto, uno dei punti centrali della riforma vede dell’inasprimento delle sanzioni la strada per raggiungere l’obiettivo di maggiore sicurezza sul lavoro.

Le origini non sono molto remote: risalgono infatti al 25 agosto 2007, data di entrata in vigore della Legge 123/2007, contenente la delega alla riforma, quando viene riconosciuto all’INAIL più tempo per agire nei confronti dell’imprenditore che si sia reso colpevole dei danni occorsi a un proprio dipendente. E i reati di omicidio colposo e di lesioni gravi conducono i giudici ad applicare sanzioni importanti anche a carico di enti e persone giuridiche.

L’articolo 2 della Legge 123/2007, infatti, ha previsto l’obbligo a carico del pubblico ministero che stia esercitando azione penale nei confronti di un datore di lavoro per i reati di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, quando il fatto sia stato commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, di darne immediata notizia all’INAIL per metterlo in condizioni di attivarsi immediatamente per la costituzione di parte civile, nonché per avviare l’azione di regresso.

L’INAIL, in via di principio, è tenuto a pagare le prestazioni ai lavoratori infortunati anche nei casi in cui sia accertata la responsabilità civile del datore di lavoro, salvo mantenere il diritto di promuovere l’azione di regresso nei suoi confronti per ottenere il rimborso di quanto erogato per infortunio o malattia professionale.

L’istituto, inoltre, può esercitare la stessa azione di regresso anche contro l’infortunato, quando l’infortunio sia avvenuto per dolo dello stesso lavoratore accertato con sentenza penale.

Presupposti per l’azione di regresso contro l’imprenditore sono l’esistenza della responsabilità a carico dell’imprenditore stesso e l’ammissione del caso a un indennizzo (cioè la liquidazione di prestazioni assicurative).

Per l’esercizio di tale azione è prevista una prescrizione in 3 anni. Questa previsione, quindi, dovrebbe sortire l’effetto di dare più tempo all’INAIL che potrà più agevolmente agire nei confronti del datore di lavoro incolpato di omicidio colposo o di lesioni personali colpose a causa di violazioni a norme sulla sicurezza del lavoro, al fine di ottenere il rimborso di quanto pagato per prestazioni al lavoratore (o agli eredi).

1.2 IMPATTO DELLA LEGGE 123/01 NEL T.U.

Una seconda novità riguarda enti e persone giuridiche (società, associazioni) e arriva da una modifica al D.Lgs. 231/01 “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica”.

È stato inserito un nuovo articolo 25septies: omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione di norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e salute sul lavoro.

In sostanza quando venga accertato uno dei predetti delitti (omicidio colposo ex articolo 589 del codice penale e lesioni colpose ex articolo 590, terzo comma, dello stesso codice), è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a mille quote (ordinariamente l’importo di una quota varia dal minimo di 258,00€ al massimo di 1.549,00€) e delle seguenti sanzioni interdittive per la durata da 3 mesi a 1 anno:

a. interdizione dall’esercizio dell’attività;

b. sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

c. divieto di contrattare con la pubblicazione amministrazione, salvo che per ottenere la prestazione di un pubblico servizio;

d. esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

e. divieto di pubblicizzare beni o servizi.

2. STATISTICHE E REGISTRO INFORTUNI

2.1 ALCUNI DATI

Tra gennaio e aprile 2018, sono state 190 le morti bianche in Italia: il 2,1% in meno di quelle rilevate nello stesso periodo del 2017. Una media di 1,6 vittime del lavoro al giorno. Questa è la prima e tragica istantanea scattata dagli esperti dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre che si occupa di monitorare quotidianamente il dramma.

Un risultato d’esordio sconfortante ed allarmante in cui ad indossare la maglia nera sono le regioni del Nord: Lombardia con 35 vittime, Emilia Romagna con 22 casi seguita a ruota dal Veneto (21) e dal Piemonte (19).

Accanto ai numeri assoluti, però, appare altrettanto significativo l’indice di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa.

E i valori più elevati arrivano dalla Basilicata (31,8 VS una media nazionale di 8,5) seguita da Molise (19,6), al Friuli VG (16,1) e Calabria (15,5).

Sempre nei primi 4 mesi del 2018, il settore più colpito dalle morti sul lavoro è quello delle costruzioni (16,8%=32 casi) seguito dalle attività manifatturiere (13,2%=25 casi) e dai trasporti/magazzinaggio (11,6%=22 casi).

Per quanto riguarda il genere, nel periodo analizzato la mortalità femminile si è attestata al 7,4%, un dato, quindi, leggermente inferiore alla media.

Gli stranieri sono 33 pari al 17,4% per cento del totale. La fascia d’età più colpita è sempre quella in cui l’esperienza dovrebbe insegnare a non esporsi al rischio (superiore o uguale a 65 anni, ovvero il 33,8 per cento delle vittime); il 17,6% tra i 55 e i 64 e l’8,4% tra i 45 e i 54 anni. Ultimo dato, ma non meno importante, è quello relativo ai giorni della settimana in cui gli episodi mortali sono stati più frequenti. Si confermano come giorni più pericolosi il martedì e mercoledì.

2.2 IL REGISTRO INFORTUNI

In seguito alla semplificazione degli adempimenti a carico del datore di lavoro, il D.Lgs. 151/2015 attuativo del cosiddetto Jobs Act ha, tra l’altro, apportato modifiche al Testo Unico INAIL (DPR 1124 /65) disponendo che:

1. dal 23/12/2015 è abrogato l’obbligo di tenuta del Registro Infortuni

2. dal 22/03/2016 viene meno, in capo al datore di lavoro soggetto agli obblighi dell’assicurazione Inail, l’obbligo di denunciare l’infortunio alla Autorità di Pubblica Sicurezza, in quanto è direttamente l’INAIL che deve comunicare all’Autorità di Pubblica Sicurezza gli infortuni mortali o con prognosi superiore ai 30 (trenta) giorni (modificato l’art. 54 del T.U. Inail che ora prevede l’obbligo di denuncia alla P.S. da parte dell’INAIL solo per gli infortuni mortali o con prognosi superiore ai trenta giorni)

3. dal 22/03/2016 il datore di lavoro non deve trasmettere all’INAIL il certificato medico d’infortunio, o di malattia professionale in quanto vi provvede il medico, con invio telematico del certificato.

A seguito di queste semplificazioni, pertanto, al datore di lavoro resta l’obbligo d’inviare all’INAIL la denuncia entro 2 (due) giorni se si tratta d’infortunio ed entro 5 (cinque) giorni se si tratta di malattia professionale.

Secondo quanto previsto dalla nuova normativa, i termini sopra indicati per la presentazione delle denunce decorrono dalla “data in cui il datore di lavoro ha ricevuto i riferimenti del certificato medico dal lavoratore” e tale dicitura è stata riportata sia nella modulistica che nell’applicativo delle denunce.

Gli infortuni avvenuti in data antecedente al 23 dicembre 2015 sono consultabili nel registro infortuni cartaceo, il cui obbligo di conservazione è a carico dei datori di lavoro per i successivi 4 anni. L’Inail, per offrire uno strumento alternativo utile ad orientare l’azione ispettiva, ha realizzato un nuovo applicativo informatico “Cruscotto Infortuni”, accessibile agli organi preposti all’attività di vigilanza.

I RLS non sono inclusi tra i soggetti ammessi alla consultazione di tale applicativo informatico per cui possono ricevere informazioni e dati sugli infortuni e sulle malattie professionali direttamente dai datori di lavoro.

2.3 SETTORE AGRICOLO

La Circolare INAIL n. 10 del 21/03/2016 riassume l’attuale disciplina della denuncia d’infortunio vigente nel settore agricolo disponendo che per gli operai agricoli a tempo indeterminato, gli operai avventizi ed i coltivatori diretti debba essere fatta la denuncia d’infortunio all’INAIL con le stesse modalità previste per il settore industriale: per gli operai è obbligato alla denuncia il datore di lavoro mentre per i coltivatori diretti è il titolare del nucleo familiare di appartenenza dell’infortunato.

I lavoratori agricoli autonomi devono pertanto denunciare sia il proprio infortunio che quello occorso agli appartenenti al proprio nucleo familiare.

Per il solo settore agricolo sia la denuncia d’infortunio che quella di malattia professionale sono da compilare su modulo cartaceo nel quale devono essere indicati gli estremi del certificato medico (numero del certificato e data del rilascio). In mancanza di tali dati va allegata copia dello stesso certificato medico e vanno inviate con PEC Aziendale alla PEC dell’INAIL.

Relativamente alle denunce d’infortunio dei coltivatori diretti, equiparati ai lavoratori artigiani, qualora l’infortunio riguardi proprio il titolare ed esso si trovi nell’impossibilità a provvedervi, allora basterà la denuncia del medico o della struttura sanitaria nei termini dei 2 (due) giorni, stante però l’obbligo per il titolare coltivatore diretto di inviare comunque, appena possibile, la denuncia d’infortunio all’INAIL, in mancanza della quale l’Istituto non eroga le prestazioni.

Nel caso delle malattie professionali, oltre alla citata circolare Inail, un recente messaggio del 30/08/2016, fornisce un quadro di riferimento circa gli obblighi distinti per tipologia di lavoratori:

1. nel caso di lavoratori subordinati a tempo indeterminato (i salariati fissi) l’obbligo della denuncia entro 5 giorni da quando ha ricevuto gli estremi del certificato medico è a carico del datore di lavoro; il relativo certificato medico deve essere inoltrato all’INAIL , per via telematica, dal medico o dalla struttura sanitaria che ha prestato la “prima assistenza”;

2. nel caso di lavoratori agricoli a tempo determinato (operai agricoli – avventizi), autonomi coltivatori diretti, coadiuvanti familiari l’obbligo dell’inoltro all’INAIL della relativa denuncia (cosiddetto certificato denuncia) per via telematica è a carico del medico certificatore o della struttura sanitaria che ha prestato la “prima assistenza”.

I medici certificatori convenzionati ASL (medici di famiglia), quelli della struttura pubblica (Ospedale) e dell’INAIL stessa, devono rilasciare al lavoratore il certificato medico con l’indicazione del numero identificativo, della data di emissione e dei giorni di prognosi.

Si ricorda che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare immediatamente al datore di lavoro l’infortunio e consegnare allo stesso copia del certificato medico di infortunio o comunicare gli estremi del certificato, necessari alla compilazione delle denunce.

3. OBIETTIVI DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI

Gli “ORIENTAMENTI CEE RIGUARDO ALLA VALUTAZIONE DEI RISCHI DA LAVORO” recitano:

“L’obiettivo della valutazione dei rischi consiste nel consentire al datore di lavoro di prendere i provvedimenti che sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori.”

Questi provvedimenti comprendono:

1. prevenzione dei rischi professionali

2. informazione dei lavoratori

3. formazione professionale dei lavoratori

4. organizzazione e mezzi destinati a porre in atto i provvedimenti necessari

L’art. 15 del T.U. elenca, in successione logica e concatenata, i provvedimenti che devono essere assunti dal datore di lavoro quali “misure di tutela” per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Tra le misure indicate, la valutazione dei rischi è il primo atto previsto, dal quale derivano tutte le ulteriori misure, alla cui programmazione ed attuazione la valutazione stessa è finalizzata.

4. CONCETTI DI RISCHIO, PERICOLO, ESPOSIZIONE

4.1 CRITERI GENERALI

Pur facendo in ogni caso riferimento alla valutazione dei rischi disposta all’art. 28, nel corpo del T.U. ci si riferisce in alcuni articoli alla valutazione “dei rischi”, in altri alla valutazione “dei pericoli”, in altri ancora alla valutazione “dell’esposizione”. Sembra pertanto di poter desumere la volontà del legislatore di interpretare il “mandato” al valutatore con una certa flessibilità, in ragione del tipo di pericolo preso in considerazione e della complessità che l’analisi del problema di prevenzione implica. Il “Coordinamento delle Regioni”, già nel documento “Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 626/94”, ha assunto la posizione di orientare verso la semplificazione delle procedure di valutazione, mirando principalmente all’individuazione dei possibili centri/ fonti di pericolo per la sicurezza e salute dei lavoratori, e all’identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti al rischio, non comprendendo stime probabilistiche di accadimento, salvo casi particolari da individuare.

Per la concreta attuazione di quanto disposto dal T.U. in merito alla valutazione dei rischi, tenuto conto dell’orientamento della stessa a fini di programmazione di interventi di prevenzione, possono essere sinteticamente proposti i seguenti criteri (successivamente ripresi ed approfonditi):

4.2 FASE PRELIMINARE

Al fine di una sua corretta collocazione temporale e maggiore rappresentatività delle reali condizioni di lavoro, la valutazione va fatta precedere da un’attenta ricognizione circa le caratteristiche dell’attività lavorativa (produzione di beni o di servizi, di serie o per campagne, produzione conto terzi etc. e relativa variabilità delle lavorazioni in relazione al variare della produzione … ) con particolare riferimento all’esistenza di attività di servizio alla produzione (pulizia, manutenzione … ) od occasionali (guasti, riattivazione di impianti … ). Non dovrà essere trascurata la considerazione di prestazioni eventualmente erogate dai lavoratori all’esterno dell’abituale luogo di lavoro (montaggi, riparazioni …) come pure la possibilità di presenza sul luogo di lavoro di dipendenti di altre aziende o di utenti.

Dovrà essere scelta la sequenza logica che il valutatore riterrà più opportuno adottare nell’analisi dei pericoli e dei rischi:

• sequenza ordinata delle lavorazioni nel ciclo produttivo

• compiti assegnati ai lavoratori

• ambienti di lavoro

• aggregati in base al linguaggio aziendale (reparti, linee, uffici …) avendo unicamente cura di: o esplicitare la scelta fatta o attenersi ad essa in modo coerente

Un’ulteriore fase preliminare da non trascurarsi è l’acquisizione e organizzazione di tutte le informazioni e le conoscenze già disponibili su elementi utili a connotare i fattori di rischio e/o gli eventuali danni riferibili al lavoro.

A titolo esemplificativo viene proposta una lista di informazioni o fonti informative possibilmente presenti in azienda:

layout dei reparti

numero di addetti ripartito per reparti e per mansioni con breve descrizione delle operazioni svolte

denunce di impianti e verifiche periodiche

registro delle manutenzioni ordinarie e straordinarie

schede di sicurezza di sostanze/prodotti/apparecchiature/impianti in uso

schede tecniche e manuali operativi di macchine e impianti

risultati di precedenti indagini condotte sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro inclusi verbali di prescrizione degli organi di vigilanza

risultati di eventuali misurazioni di igiene industriale

risultati collettivi anonimi di controlli sanitari periodici

denunce INAIL su casi di malattie professionali

dati sugli infortuni (dall’apposito registro) e incidenti avvenuti

atti autorizzativi

procedure di lavoro scritte, ordini di servizio

elenco e caratteristiche dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori

modalità pratiche di distribuzione/ricambio dei dispositivi di protezione individuale

conoscenze ed esperienze dei lavoratori e dei preposti

4.3 IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO

La valutazione deve riguardare i rischi derivanti dall’attività lavorativa e che risultino ragionevolmente prevedibili: vanno quindi conciliate le contrapposte esigenze di “esaustività” della valutazione e della “identificazione dei principali problemi di prevenzione”, peculiari della specifica attività produttiva, su cui concentrare l’analisi.

In una prima fase pare ragionevole che il datore di lavoro programmi una successiva fase di valutazione dei rischi che ad un primo esame appaiono meno prevedibili e comunque tali da provocare lievi conseguenze.

Gli orientamenti comunitari indicano a tale proposito l’utilità di operare il seguente procedimento:

“valutazione complessiva per separare i rischi in due categorie: quelli ben noti per i quali si identificano prontamente le misure di controllo … e rischi per i quali è necessario un esame più attento e dettagliato.

Questa fase può comportarne altre, se si deve applicare un sistema più sofisticato di valutazione dei rischi a situazioni effettivamente complesse. “

L’identificazione dei fattori di rischio sarà guidata dalle conoscenze disponibili su norme di legge e standard tecnici, dai dati desunti dall’esperienza e dalle informazioni raccolte, dai contributi apportati da quanti, a diverso titolo, concorrono all’effettuazione della stessa valutazione: Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, Medico Competente, altre figure che possono essere utilmente consultate nel merito (lavoratori, preposti, dirigenti…).

Questo procedimento consentirà di identificare i pericoli non soltanto in base ai principi generalmente noti, ma anche all’esistenza di fattori di rischio peculiari delle condizioni in cui ha luogo l’attività lavorativa. Si avrà cura di controllare l’influenza che su tale identificazione può esercitare la percezione soggettiva del rischio, che talvolta può portare a sottostimare o sovrastimare un pericolo sulla base dell’abitudine al rischio o dell’eccessiva fiducia concessa alle impressioni sensoriali.

Va sottolineato che laddove esistano posti di lavoro e/o lavorazioni omogenee nella stessa unità produttiva o in unità produttive del medesimo comparto è possibile definire in modo unitario un elenco orientativo dei fattori di rischio da considerare, fermo restando che per ogni contesto considerato andranno verificate le eventuali differenze significative, le quali peraltro possono condurre all’attivazione di conseguenti diversificate e specifiche misure di tutela.

Come indicato nel T.U., eventuali scelte di questo tipo dovranno essere indicate nel documento tra i criteri adottati nella conduzione della valutazione.

In sintesi:

se conducendo la valutazione viene individuato un pericolo per la salute o la sicurezza, la cui esistenza appare certa e fonte di possibile danno ai lavoratori, che sia riferibile o meno ad una mancata messa in atto di quanto previsto dalla normativa esistente, le misure di tutela eventualmente individuabili possono opportunamente essere attuate o programmate senza acquisire ulteriori elementi valutativi, se non quelli strettamente necessari alla definizione della priorità da assumersi per gli interventi stessi

se un possibile pericolo, connesso all’attività lavorativa in esame, è stato in precedenza valutato con esito favorevole (rischio assente o molto limitato) ovvero il pericolo stesso è stato ridotto o eliminato con l’adozione di opportune misure (può essere il caso della valutazione dell’esposizione dei lavoratori a vibrazioni, amianto, rumore), la valutazione dei rischi può limitarsi ad una presa d’atto di tali risultanze, previa verifica della loro attualità

al contrario, là dove risulti dubbia l’esistenza di un pericolo, o incerta la definizione delle possibili conseguenze, o complessa l’individuazione delle appropriate misure di prevenzione, appare opportuno condurre una valutazione dei rischi che si articoli in un percorso logico e procedurale più completo ed approfondito.

4.4 IDENTIFICAZIONE DEI LAVORATORI ESPOSTI

In relazione alle situazioni pericolose messe in luce dalla prima fase della valutazione, si evidenzierà il numero dei lavoratori che è possibilmente esposto ai fattori di rischio, individualmente o come gruppo omogeneo. È opportuno che i lavoratori esposti siano identificati nominalmente, sia in funzione della eventuale segnalazione al medico competente per gli adempimenti in merito alla sorveglianza sanitaria, sia per la programmazione dei successivi interventi di informazione/formazione.

L’identificazione dei lavoratori esposti non potrà prescindere dalla rilevazione delle effettive modalità di lavoro; a tale fine si richiama l’esigenza di avvalersi di modalità partecipative nella raccolta delle informazioni in merito. A questo proposito giova ricordare che l’utilizzo di check list, se pur di utilità al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, non può essere considerato come l’unico mezzo per la valutazione.

Le check list, infatti:

• essendo “universali” possono rivelarsi talora eccessivamente dettagliate e talaltra generiche a seconda del comparto produttivo dell’azienda;

• non sostituiscono la conoscenza e le informazioni pregiate di cui dispongono i lavoratori sulle specifiche condizioni di rischio

4.5 STIMA DELL’ENTITÀ DELLE ESPOSIZIONI AI PERICOLI

Una prima stima dell’entità delle esposizioni (misura semiquantitativa) implica una valutazione della frequenza e della durata delle operazioni/lavorazioni che comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Si verificherà, in talune situazioni, la necessità o l’opportunità di procedere ad una stima più precisa delle esposizioni ai pericoli, tramite misure di igiene industriale o a criteri di valutazione più specifici e dettagliati nei casi in cui vi sia esposizione ad agenti chimico-fisici e/o qualora si siano verificati (o si possano prevedere) infortuni/incidenti gravi.

Tale fase di approfondimento, per analogia con quanto detto al punto precedente, può peraltro essere programmata per un tempo immediatamente successivo alla prima valutazione e alla prima adozione delle misure di prevenzione e di protezione individuate. In prima approssimazione si può affermare che il ricorso a criteri più specifici ed approfonditi di valutazione dell’esposizione è quantomeno opportuna nei seguenti casi:

nei casi in cui è esplicitamente previsto (cancerogeni, fattori di rischio normati, radiazioni ionizzanti)

nei casi di esposizione a sostanze dotate di elevata tossicità intrinseca e/o in grado di provocare incidenti (atmosfere infiammabili/esplosive) o danni alla salute in basse concentrazioni

nella verifica di efficacia dei sistemi di prevenzione adottati

se necessario ai fini della progettazione o realizzazione di idonei presidi di bonifica

nel dirimere i casi dubbi o controversi

qualora si siano verificati infortuni/incidenti gravi o con dinamiche ripetitive

Sono raccomandate inoltre valutazioni igienico-ambientali, eventualmente corredate da misurazioni, ogni qualvolta vengano sostanzialmente modificate le linee di produzione in modo tale, cioè, che vi sia concreta possibilità di una variazione dell’esposizione dei lavoratori a fattori di rischio chimico-fisici.

4.6 STIMA DELLA GRAVITÀ E DELLA PROBABILITÀ DEGLI EFFETTI

Vanno considerate le dimensioni possibili del danno derivante da un determinato rischio, in termini di una gamma di conseguenze quali:

lesioni e/o disturbi lievi (rapidamente reversibili)

lesioni o disturbi di modesta entità

lesioni o patologie gravi

incidente mortale

stimando allo stesso tempo la probabilità di accadimento di danni (lesioni, disturbi, patologie): il livello di probabilità può essere espresso con giudizi di gravità in scala crescente.

Può essere utile adottare semplici stimatori del rischio complessivo, che tengano contemporaneamente conto di probabilità e gravità degli effetti dannosi. L’adozione di simili criteri di classificazione può risultare utile al fine della programmazione degli interventi, seguendo una scala di priorità. L’incidente con rischio di conseguenze mortali, anche se improbabile, va considerato come priorità nella programmazione delle misure di prevenzione.

Deve essere preso in considerazione il danno più grave che può essere associato al rischio in esame. A tale fine non può essere utilizzato il solo dato statistico aziendale che mostra un basso numero di incidenti e/o patologie ovvero una loro modesta gravità: di per sé tale dato non autorizza ad adottare misure di sicurezza meno restrittive.

Di contro, particolarmente utile sarà la valorizzazione dell’informazione su tipologie di infortuni che si ripetono con dinamica analoga e di segnalazioni di disturbi riscontrati in gruppi omogenei di lavoratori. Va peraltro ricordato che nell’igiene del lavoro questa metodologia valutativa presenta molte difficoltà applicative, in quanto non sempre è agevole attribuire valori significativi ai due parametri di riferimento: “probabilità di accadimento” e “gravità degli effetti”. In tali casi, quindi, è consigliabile adottare le misure più cautelative.

5. LA VALUTAZIONE DEI RISCHI

5.1 ORIENTAMENTI GENERALI

La valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e la predisposizione dei conseguenti documenti è uno degli elementi di più grande rilevanza del T.U. Essa rappresenta, infatti, l’asse portante della nuova filosofia in materia di tutela della salute dei lavoratori che vede nel datore di lavoro il protagonista attivo della funzione prevenzionale.

Essa costituisce, inoltre, il perno intorno al quale deve ruotare l’organizzazione aziendale della prevenzione.

È quindi necessario che quanto previsto dall’art. 28 trovi adeguata ed estesa applicazione anche con l’impegno della Regione e dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle ASL. È con questo spirito e nell’intento di fornire indirizzi interpretativi ed operativi ai Servizi, affinché orientino in modo omogeneo la loro attività verso l’utenza, che sono state predisposte le seguenti note.

Pare opportuno richiamare l’attenzione sulla facoltà concessa dal T.U. al datore di lavoro di avvalersi, nella valutazione del rischio, delle procedure ritenute di volta in volta più appropriate ed efficaci, nel rispetto delle indicazioni contenute nello stesso testo di legge (è da privilegiare, infatti, il RISULTATO rispetto al PROCESSO!).

5.2 SIGNIFICATO DELLA VALUTAZIONE

La valutazione dei rischi lavorativi di cui al T.U. si iscrive nel più ampio e complessivo utilizzo a livello internazionale del metodo del “risk assessment”, che coinvolge anche molti aspetti relativi ai costi ambientali del progresso e dell’uso delle risorse naturali.

L’orientamento comunitario, in generale, è quello di fondare le iniziative legislative e la definizione delle priorità dell’intervento su un’analisi partecipata e strutturata in merito alla “accettabilità” sociale dei rischi e alla valutazione dei costi e dei benefici che la loro riduzione comporta per la comunità.

Di per sé il “risk assessment” non porta automaticamente al “risk management”, cioè alla risoluzione o al contenimento dei problemi evidenziati, ma ha il vantaggio di portarli alla luce e farne oggetto di valutazione sociale, di studio, di programmi articolati.

Questo è il contesto culturale da cui il T.U. trae origine e che va armonizzato con il vigente assetto normativo che mantiene la sua validità. Infatti, nessuna facoltà d’arbitrio è concessa al datore di lavoro in merito all’applicazione o meno delle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che devono essere comunque rispettate, per cui l’obiettivo della valutazione non può essere la scelta di quali tra i vincoli normativi previsti siano i più opportuni o convenienti da adottare.

L’applicazione del T.U. fornisce anche uno strumento per avviare una riorganizzazione razionale e pianificata della produzione nei suoi diversi componenti (macchine, procedure, spazi, organizzazione, … ) al fine di raggiungere l’obiettivo di una sostanziale riduzione e/o del controllo dei fattori di rischio presenti, nel rispetto della legislazione nazionale e delle norme di buona tecnica prodotte da organismi accreditati (UNI-EN, CEI … ).

La necessità che nell’impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti, gestione del personale, manutenzione, etc.), e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare “Lavoro Sicuro”, è chiaramente esplicitata tra le misure generali di tutela indicate nell’art. 15. Tra queste, infatti, al comma 1, lettera b) viene indicata “la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro”.

La valutazione del rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione della funzione e del sistema di prevenzione aziendale.

L’esame sistematico dei problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell’attività lavorativa non dovrà trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia, arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, … ), come chiaramente indicato negli orientamenti CEE.

Non va persa di vista la natura di processo partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta l’informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che l’organizzazione del lavoro “formale” subisce, all’atto della sua concreta messa in pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione.

5.3 LA SOGGETTIVITÀ NEL VALUTARE

Per tutti i problemi di prevenzione non riconducibili ad un confronto con uno standard normativo o tecnico di riferimento, la valutazione dei rischi comporterà inevitabilmente un contributo della soggettività del/dei valutatore/i nell’attribuire loro maggiore o minore rilevanza e, di conseguenza, un equivalente valore nella programmazione degli interventi.

In particolare, possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo soggetto, fanno parte di una certa “cultura d’impresa”, là dove un’abituale sottostima del rischio ha alimentato l’abitudine a considerare “normali” procedure, attrezzature, metodi, del tutto inadeguati. A mitigare la soggettività del valutatore possono contribuire l’uso razionale di misure di igiene industriale, nonché la raccolta della sintomatologia eventualmente accusata dai lavoratori.

Ancora: l’accurata consultazione del Rappresentante dei Lavoratori e la raccolta critica dei giudizi soggettivi dei lavoratori rappresenta un momento decisivo per la integrazione delle conoscenze di quegli aspetti di rischio che sfuggono o sono sottovalutati dal management.

Il datore di lavoro e/o il valutatore utilizzeranno documentazione tecnica e scientifica in materia potendosi rivolgere anche ai Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende USL o ai centri di documentazione regionale.

5.4 VALUTAZIONE SEMPLIFICATA E PRIMI APPROCCI ALLA VALUTAZIONE

Per incentivare la massima estensione dell’attività di valutazione da parte dei datori di lavoro è utile chiarire che per “valutazione del rischio” si intende principalmente l’individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l’identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell’entità dell’esposizione. A tale proposito si potrà suggerire l’utilizzo in prima istanza, ove possibile e adeguato, di metodi e criteri di valutazione che possono consistere anche in valutazioni di tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure analitiche.

Di grande utilità potrebbe risultare la definizione di linee guida alle valutazioni con riferimento non solo alla dimensione dell’unità produttiva (piccole e medie imprese) ma anche al settore e al comparto produttivo tenuto conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi nei diversi settori. Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell’intervento tecnico risolutivo.

5.5 CHI CONCORRE ALLA VALUTAZIONE

L’obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro. È evidente tuttavia che dal punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà/potrà allo scopo avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali.

In primo luogo, è opportuno prevedere che al processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l’intera “linea” aziendale rappresentata dai dirigenti e dai preposti.

Gli stessi sono infatti, al contempo, depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo.

Alla valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di protezione e prevenzione nonché, ove previsto, il medico competente: essi forniscono il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili all’inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee per il loro contenimento.

La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove adeguatamente formato, è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa tecnica, e dall’altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d’altronde stabilito in diversi punti del decreto legislativo.

Infine, al processo di valutazione e gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, devono anche fornire informazioni relative a criteri, ambiti e limiti per l’utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e strumenti di lavoro.

La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi.

5.6 COSA FARE IN PRATICA

Il datore di lavoro:

• valuta tutti i rischi della propria azienda ed elabora una relazione (documento di valutazione dei rischi – DVR)

• valuta e documenta per iscritto l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati (per aziende fino a 10 addetti sulla base di procedure standardizzate in fase di definizione) Il DVR deve contenere i criteri adottati, l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione adottate, il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, i nominativi di RSPP, RLS e MC, l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici. Il documento di valutazione dei rischi deve avere data certa ed essere custodito presso l’azienda.

I PASSI

1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41.

2. Le attività di cui al comma 1 sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

3. La valutazione e il documento di cui al comma 1 debbono essere rielaborati, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate.

4. Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), e quello di cui all’articolo 26, comma 3, devono essere custoditi presso l’unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi.

5. I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi di cui al presente articolo sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f). Fino alla scadenza del diciottesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 30 giugno 2012, gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi. Quanto previsto nel precedente periodo non si applica alle attività di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonché g).

6. I datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f). Nelle more dell’elaborazione di tali procedure trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, e 4.

7. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle attività svolte nelle seguenti aziende:

a. aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g)

b. aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto

c. aziende che rientrano nel campo di applicazione del titolo IV del presente decreto

6. PREVENZIONE INCENDI

Il rischio di incendio rappresenta uno dei maggiori rischi per qualsiasi luogo di lavoro, ed una corretta attività di informazione e formazione dei lavoratori costituisce certamente il migliore presupposto per una efficace “gestione della sicurezza” in ambito aziendale.

Secondo diverse statistiche, almeno il 50% degli incendi è attribuibile in qualche modo, direttamente o indirettamente, al cosiddetto “fattore umano” e cioè al fatto che le persone non adeguatamente formate compiono azioni sbagliate. Si è potuto constatare che molti incendi si sarebbero potuti facilmente controllare e/o spegnere nella loro fase iniziale, se solo le persone presenti fossero state in grado di utilizzare efficacemente le attrezzature antincendio esistenti in loco (estintori, idranti, etc).

Per incendio si intende la combustione “non controllata” di solidi, di liquidi o di gas, una combustione, cioè, che avviene in un luogo non preparato allo scopo o in un momento imprevisto.

Per quanto il fuoco (che è la manifestazione “spettacolare” della combustione) sia un fenomeno a tutti familiare, è un evento piuttosto difficile da creare ed è il frutto di una lunga serie di condizioni favorevoli al suo sviluppo: questo lo rende anche uno dei rischi che è più facile prevenire.

Purtroppo non è altrettanto facile difendersi una volta che si sia sviluppato!

Pochi ci pensano, ma il fuoco (anche quello che scoppietta nel nostro camino) è la manifestazione di una reazione chimica di ossidazione a catena.

6.1 COMBUSTIONE

La combustione è una reazione chimica sufficientemente rapida di una sostanza combustibile con un comburente che provoca lo sviluppo di calore, fiamma, gas, fumo e luce.

Solitamente il comburente è l’ossigeno contenuto nell’aria, ma sono possibili incendi di sostanze che contengono nella loro molecola una quantità di ossigeno sufficiente a determinare una combustione, quali ad esempio gli esplosivi e la celluloide.

Le condizioni necessarie per avere una combustione sono:

presenza del combustibile

presenza del comburente

presenza di una sorgente di innesco

Solo la contemporanea presenza di questi tre elementi provoca l’incendio, e di conseguenza al mancare di almeno uno di essi l’incendio si spegne.

Questi tre elementi danno origine a quello che normalmente viene definito il triangolo del fuoco.

6.2 COMBUSTIBILE

Il combustibile è la sostanza che è in grado di bruciare in condizioni ambientali normali.

Può essere allo stato:

solido (es. carta, legno, plastica)

liquido (es. benzina, alcool, gasolio)

gassoso (es. metano, GPL)

Per PUNTO DI INFIAMMABILITÀ si intende la temperatura alla quale occorre portare un combustibile (liquido o solido) affinché esso emetta vapori combustibili in quantità tale da incendiarsi in presenza di un innesco sia esso fiamma o scintilla. Il punto di infiammabilità varia da combustibile a combustibile.

Esistono diversi tipi di combustibili: alcuni che alla temperatura ambiente e in presenza di fiamma possono incendiarsi (benzina), altri che devono essere riscaldati (gasolio), altri ancora che devono subire un riscaldamento notevole (legno).

Il punto di infiammabilità della benzina è di circa -12 °C (ciò significa che dai -12 °C in su la benzina, in presenza di innesco, si incendia)

Il punto di infiammabilità del gasolio è di circa 85 °C (per fare incendiare il prodotto è necessario quindi un riscaldamento)

Il punto di infiammabilità del legno è di circa 200 °C

6.3 COMBUSTIBILI SOLIDI

La combustione delle sostanze solide è caratterizzata dai seguenti parametri:

dalla pezzatura e forma del materiale

dal grado di porosità del materiale

dagli elementi che compongono la sostanza

dal contenuto di umidità del materiale

dalle condizioni di ventilazione

Il processo di combustione delle sostanze solide porta alla formazione di braci, che sono costituite dai prodotti della combustione.

6.4 COMBUSTIBILI LIQUIDI

Tutti i liquidi sono in equilibrio con i propri vapori, che si sviluppano in maniera differente a seconda delle condizioni di pressione e temperatura che si esercitano sulla superficie del liquido stesso.

La combustione avviene quando in corrispondenza della suddetta superficie i vapori dei liquidi infiammabili, miscelandosi con l’ossigeno dell’aria in concentrazioni comprese nel campo d’infiammabilità, sono opportunamente innescati.

Si chiama campo d’infiammabilità l’intervallo tra il limite inferiore di infiammabilità (la più bassa concentrazione di vapore con l’ossigeno al disotto della quale non si ha accensione) ed il limite superiore di infiammabilità (la più alta concentrazione di vapori al disopra della quale non si ha accensione).

In un punto qualsiasi del campo d’infiammabilità ogni liquido ha il suo punto d’infiammabilità che si esprime in gradi centigradi ed è il punto in cui l’equilibrio tra vapori di gas ed ossigeno è perfetto per la combustione. In base alla loro maggiore o minore infiammabilità i liquidi infiammabili sono classificati come segue:

Categoria A: liquidi aventi punto d’infiammabilità inferiore a 21°C

Categoria B: liquidi aventi punto d’infiammabilità compreso tra 21°C e 65°C

Categoria C :liquidi aventi punto d’infiammabilità compreso tra 65°C e 125°C.

6.5 COMBUSTIBILI GASSOSI

I gas, in funzione delle loro caratteristiche fisiche, possono essere classificati come segue:

Gas leggero: gas avente densità rispetto all’aria inferiore a 0,8 (idrogeno, metano). Un gas leggero quando liberato dal proprio contenitore tende a stratificare verso l’alto.

Gas pesante: gas avente densità rispetto all’aria superiore a 0,8 (GPL, acetilene).

In funzione delle loro modalità di conservazione possono essere classificati come segue:

Gas compresso: gas che viene conservato allo stato gassoso ad una pressione superiore a quella atmosferica in appositi recipienti o trasportato attraverso tubazioni. La pressione di compressione può variare da frazioni di atmosfera a qualche centinaio di atmosfere.

Gas liquefatto: gas che per le sue caratteristiche chimico-fisiche può essere liquefatto a temperatura ambiente mediante compressione (butano, propano, ammoniaca, cloro). Il vantaggio della conservazione di gas allo stato liquido consiste nella possibilità di detenere grossi quantitativi di prodotto in spazi contenuti, in quanto un litro di gas liquido può sviluppare nel passaggio di stato fino ad 800 litri di gas. I contenitori di gas liquefatto devono garantire una parte del loro volume geometrico sempre libera dal liquido, per consentire allo stesso l’equilibrio con la propria fase vapore. Per essere più chiari: una bombola di gas liquido, per esempio il GPL, deve avere una parte della bombola non riempita per lasciare spazio ad una eventuale espansione dovuta ad un aumento di temperatura. Pertanto, è prescritto un limite massimo di riempimento dei contenitori detto grado di riempimento.

Gas refrigerato: gas che può essere conservato in fase liquida mediante refrigerazione della temperatura di equilibrio liquido-vapore, con livelli di pressione estremamente modesti, assimilabili alla pressione atmosferica.

Gas disciolto: gas che è conservato in fase gassosa, disciolto entro un liquido ad una determinata pressione (per esempio: acetilene disciolto in acetone, anidride carbonica disciolta in acqua gassata).

Come nei combustibili liquidi si parla di campo d’infiammabilità, per i gas si usa il termine campo di esplosività.

Si chiama campo di esplosività l’intervallo tra il limite inferiore di esplosività (bassa concentrazione di gas con l’ossigeno al disotto della quale non si ha innesco) ed il limite superiore di esplosività (alta concentrazione di gas al disopra della quale non si ha innesco).

Tra questi due punti si ha il campo di esplosività; ogni gas ha il suo campo di esplosività caratteristico ed è l’intervallo in cui l’equilibrio tra il gas e l’ossigeno è idoneo alla combustione, esplosione o scoppio.

Gli stessi concetti di esplosività si estendono anche ad alcuni tipi di polveri: polveri provenienti dalla lavorazione del legno, polveri derivanti dallo stoccaggio del grano, della farina etc..

Nella maggior parte dei casi la reazione di combustione avviene a partire dal combustibile allo stato gassoso.

6.6 COMBURENTE

Il comburente è la sostanza che permette al combustibile di bruciare. Generalmente si tratta dell’ossigeno contenuto nell’aria allo stato di gas. Quindi il comburente primario è l’aria.

L’aria è approssimativamente composta da:

21% Ossigeno (O2)

78% Azoto (N2)

1% gas diversi

In realtà l’ossigeno è indispensabile nei processi di combustione, a differenza dell’azoto che risulta essere un gas inerte. È bene sapere che vi possono essere combustioni anche senza la presenza dell’ossigeno (il cloro e l’idrogeno reagiscono tra di loro e danno luogo ad una combustione).

6.7 SORGENTI DI INNESCO

Le sorgenti d’innesco possono essere suddivise in quattro categorie:

1. Accensione diretta quando una fiamma, una scintilla o altro materiale incandescente entra in contatto con un materiale combustibile in presenza di ossigeno. Ad esempio: operazioni di taglio e saldatura, fiammiferi, mozziconi di sigaretta.

2. Accensione indiretta quando il calore d’innesco avviene nelle forme della convezione, conduzione e irraggiamento termico. Ad esempio: correnti di aria calda generate da un incendio e diffuse attraverso un vano scala o altri collegamenti verticali negli edifici.

3. Attrito quando il calore è prodotto dallo sfregamento di due materiali. Ad esempio: malfunzionamento di parti meccaniche rotanti quali cuscinetti, motori.

4. Autocombustione o riscaldamento spontaneo quando il calore viene prodotto dallo stesso combustibile come ad esempio lenti processi di ossidazione, reazioni chimiche, decomposizioni esotermiche in assenza d’aria, azione biologica.

6.8 COMBUSTIONE E FUMO

Per AUTOCOMBUSTIONE si intende un fenomeno fisico che si manifesta con l’incendio spontaneo di materiali per eccesso di calore ambientale.

Per PUNTO DI ACCENSIONE (o di AUTOCOMBUSTIONE) si intende la temperatura alla quale un combustibile inizia spontaneamente a bruciare in presenza di ossigeno senza necessità di innesco con fiamma o scintilla.

La maggior parte dei combustibili contiene soprattutto due elementi:

C – (carbonio)

H – (idrogeno)

Bruciando questi due elementi si trasformano in:

anidride carbonica (C02) e

monossido di carbonio (CO)

Inoltre, nei gas di combustione troviamo:

carbone non bruciato (fuliggine)

altre particelle non combuste

vapore

che insieme formano ciò che noi chiamiamo fumo.

6.9 FUMO

Recenti studi hanno dimostrato che la principale causa di perdita di vite umane negli incendi è imputabile al fumo.

Come già detto il fumo è composto da gas prodotti durante la combustione (ossido di carbonio, anidride carbonica, idrogeno solforato, anidride solforosa, ammoniaca, acido cianidrico, acido cloridrico, fosgene), vapore acqueo, particelle di combustibile.

Il fumo riduce fortemente la visibilità, causa irritazione agli occhi, provoca soffocamento, asfissia e intossicazione del sangue. Inoltre, è il maggior indiziato nella propagazione dell’incendio.

Nei locali chiusi il fumo sale verticalmente, per poi “posizionarsi” nella caratteristica dislocazione a fungo, trasmettendo il calore sia alle strutture con cui è a contatto (conduzione) che a quelle più lontane (irraggiamento).

7. SISTEMI ANTINCENDIO MOBILI

La lotta contro gli incendi risulta di grande efficacia se l’intervento di difesa è attuato entro brevissimo tempo dall’insorgere dell’incendio, quando questo è ancora di dimensioni limitate e quindi facilmente aggredibile. Dato che gli impianti industriali e le strutture civili protette da sistemi fissi sono relativamente limitati, appare evidente l’importante ruolo assolto dai sistemi mobili antincendio utilizzabili per qualunque tipo di incendio, purché si abbia l’accortezza di usare, di volta in volta, il sistema di protezione più appropriato.

Per una più razionale presentazione dei vari sistemi antincendio mobili disponibili si propone di raggrupparli nelle seguenti categorie.

ESTINTORI

AUTOMEZZI DI PRONTO INTERVENTO

EQUIPAGGIAMENTI ED ATTREZZATURE AUSILIARIE

In questa sede si parlerà dettagliatamente solamente di estintori, lasciando una più ampia trattazione dell’argomento a specifici corsi di formazione per addetti al servizio di prevenzione incendi.

7.1 GLI ESTINTORI

Sono mezzi mobili, portatili o carrellati, di pronto intervento, che possono essere suddivisi in base al tipo di sostanza estinguente usata.

Si hanno così gli estintori:

idrici

a schiuma

a polvere

ad anidride carbonica

ad idrocarburi alogenati

a doppia sostanza estinguente (“Twin agent system”).

La scelta degli estintori portatili deve essere determinata in funzione della classe di incendio e del livello di rischio del luogo di lavoro.

Le varie tipologie di estintori sono oggi facilmente reperibili sul mercato anche se alcuni di essi, come ad esempio quelli idrici, possono ritenersi superati.

Per quanto attiene, infine, agli estintori carrellati, la scelta del loro tipo e numero deve essere fatta in funzione della classe di incendio, del livello di rischio e del personale addetto al loro uso.

Nella scelta degli estintori, oltre alla qualità, è necessario verificare che essi siano dotati di alcuni accessori che ne migliorano grandemente l’efficacia. Si tratta in particolare della manichetta e della pistola erogatrice che permettono di dirigere meglio il getto alla base della fiamma. Ricordare che questa modalità di attacco dell’incendio è fondamentale per ottenere l’effetto estinguente.

CARATTERISTICHE

Esistono vari tipi di estintori, tutti concepiti per spegnere principi d’incendio: la scelta va fatta in base al tipo d’incendio ipotizzabile nel locale da proteggere.

Su tutti gli estintori deve essere solidamente applicata una etichetta sulla quale sono riportati il nome della sostanza estinguente contenuta e le sommarie istruzioni d’uso. Su ogni estintore sono indicate le classi di fuochi che sono in grado di estinguere, quindi se è apposta un’etichetta (pittogrammi) con le lettere A B C significa che quell’estintore è idoneo a spegnere incendi di quelle tre categorie.

ESTINTORI A CO2 E POLVERE

I 2 tipi di estintori che si trovano più frequentemente sono: a CO2 (anidride carbonica) e a polvere.

ESTINTORI A CO2 (ANIDRIDE CARBONICA)

Non presentano alcuna difficoltà d’uso. Funzionano sul principio del passaggio di stato. All’interno c’è anidride carbonica allo stato liquido; agendo sulla maniglia, dopo aver rimosso la spina di sicura, il CO2 entra contatto con l’aria atmosferica, assorbe calore e passa dallo stato liquido allo stato gassoso: il rapido abbassamento della temperatura nel tubo diffusore (il tubo che serve ad indirizzare il getto sull’incendio) trasforma il gas in una sorta di “neve”. È particolarmente idoneo per incendi di apparecchiature elettriche, anche se talvolta il rapido abbassamento della temperatura causa danni ai motori.

ESTINTORI A POLVERE

All’interno dell’estintore a polvere ci sono delle polveri polivalenti (si chiamano polivalenti perché possono essere utilizzate in incendi ABC: sono polveri a base di solfato e fosfato di ammonio, ma la reale composizione è segreto industriale).

Azionando la maniglia, dopo aver rimosso la spina di sicura, l’azoto pressurizzato passa attraverso un tubo interno e fuoriesce dal tubo esterno. Gli estintori non vanno capovolti, è grave inconveniente, e devono essere utilizzati sino in fondo. Ripulire un ambiente dove si è utilizzato un estintore a polvere è più impegnativo che rimuovere i detriti dell’incendio.

Gli estintori a polvere sono particolarmente adatti per liquidi infiammabili, pinacoteche, librerie: il principio del funzionamento delle polveri polivalenti è interessante al fine conoscitivo; la polvere, oltre ad inibire il contatto tra combustibile e comburente (soffocamento) e a raffreddare per assorbimento del calore (reazione endotermica) dà luogo al processo di catalisi negativa, inibisce la reazione chimica a catena “catturando” i radicali liberi.

Non sono dannosi per la salute dell’operatore anche se la nube di polvere sviluppata può causare qualche colpo di tosse.

QUANTI ESTINTORI?

Il numero e la capacità estinguente degli estintori portatili devono rispondere ai valori indicati nella tabella successiva, per quanto attiene gli incendi di classe A e B, ed ai criteri di seguito indicati:

il numero dei piani (non meno di un estintore a piano)

la superficie in pianta

lo specifico pericolo di incendio (classe di incendio)

la distanza che una persona deve percorrere per utilizzare un estintore (non superiore a 30 m)

POSIZIONAMENTO

Gli estintori portatili devono essere ubicati preferibilmente lungo le vie di uscita, in prossimità delle uscite e fissati a muro. La loro distribuzione deve consentire di raggiungere un estintore percorrendo non più di 30 metri. In ogni caso, l’installazione di mezzi di spegnimento di tipo manuale deve essere evidenziata con apposita segnaletica.

Gli idranti e i naspi antincendio devono essere ubicati in punti visibili ed accessibili lungo le vie di uscita, con esclusione delle scale. La loro distribuzione deve consentire di raggiungere ogni punto della superficie protetta almeno con il getto di una lancia.

UTILIZZO

Affinché l’utilizzo sia efficace bisogna essere vicini al focolaio (da 1 a 3 metri in relazione alla distanza consentita da quel particolare tipo di estintore e dal calore irraggiato dall’incendio, sempre a favore di vento e che non sia minacciata l’incolumità dell’operatore) e indirizzare il getto alla base delle fiamme. Non si deve assolutamente attraversare con il getto le fiamme, si deve cercare di spegnere le fiamme più vicine e progressivamente allargare in profondità la zona estinta. Una prima sventagliata di sostanza estinguente può essere utile per poter avanzare e aggredire da vicino il fuoco.

Attenzione: l’estintore non deve essere assolutamente utilizzato contro persone avvolte dalle fiamme in quanto l’azione delle sostanze estinguenti su parti ustionate potrebbe provocare danni superiori a quelli delle ustioni. In questi casi è preferibile ricorrere all’acqua o, nel caso questa non fosse disponibile, a coperte o indumenti per soffocare le fiamme.

ASPETTI COMUNI ALLE DIVERSE SITUAZIONI

Le procedure da adottare in caso di incendio sono differenti a seconda dei diversi tipi di insediamento (uffici, edifici con afflusso di pubblico, aziende, ecc.). Ciò nonostante, si possono riassumere quegli aspetti che sono comuni alle diverse situazioni dei luoghi e dei probabili incendi:

Comportarsi secondo le procedure prestabilite (far riferimento al piano di emergenza)

Se si tratta di un principio di incendio valutare la situazione determinando se esiste la possibilità di estinguere immediatamente l’incendio con i mezzi a portata di mano

Non tentare di iniziare lo spegnimento con i mezzi portatili se non si è sicuri di riuscirvi

Dare immediatamente l’allarme al 115

Intercettare le alimentazioni di gas, energia elettrica, ecc.

Limitare la propagazione del fumo e dell’incendio chiudendo le porte di accesso/compartimenti

Iniziare l’opera di estinzione solo con la garanzia di una via di fuga sicura alle proprie spalle e con l’assistenza di altre persone

Accertarsi che l’edificio venga evacuato

Se non si riesce a mettere sotto controllo l’incendio in breve tempo, portarsi all’esterno dell’edificio e dare le adeguate indicazioni alle squadre dei Vigili del Fuoco

SPEGNIMENTO DI UN FUOCO DI CLASSE A

L’azione dell’estinguente va indirizzata verso il focolaio con la direzione indicata in figura

SPEGNIMENTO DI UN FUOCO DI CLASSE B

L’azione dell’estinguente va indirizzata verso il focolaio con la direzione indicata in figura

FOCOLAIO APPENA ESTINTO

• Il focolaio estinto non va abbandonato se non dopo un periodo sufficiente ad accertarsi che la sua riaccensione sia impossibile

• Va verificata l’intera zona incendiata disperdendo le ceneri e tutte le parti parzialmente combuste per verificare con assoluta certezza di aver spento il fuoco

• Se le braci mantengono la temperatura al di sopra di quella di infiammabilità c’è sempre il rischio che la combustione riprenda

7.2 REGISTRO ANTINCENDIO

COSA FARE

Gli enti e i privati responsabili di attività soggette ai controlli di prevenzione incendi hanno l’obbligo di mantenere in stato di efficienza i sistemi, i dispositivi, le attrezzature e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e di effettuare verifiche di controllo ed interventi di manutenzione secondo le cadenze temporali che sono indicate dal comando nel CPI.

Essi provvedono, in particolare, ad assicurare una adeguata informazione e formazione del personale dipendente sui rischi di incendio connessi con la specifica

attività, sulle misure di prevenzione e protezione adottate, sulle precauzioni da osservare per evitare l’insorgere di un incendio e sulle procedure da attuare in caso di incendio. I controlli, le verifiche, gli interventi di manutenzione, l’informazione e la formazione del personale che vengono effettuati, devono essere annotati in un apposito registro a cura dei responsabili dell’attività.

Tale registro deve essere mantenuto aggiornato e reso disponibile ai fini dei controlli di competenza del comando.

FREQUENZA AGGIORNAMENTO

Secondo le prescrizioni del Certificato Prevenzione Incendi – C.P.I. (generalmente semestrale per le attrezzature).

8. PRONTO SOCCORSO

COSA FARE

Il datore di lavoro deve prendere i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e d’assistenza medica di emergenza, stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati (art. 45, comma 1, del T.U.).

Il D.M. 15 luglio 2003, n. 388, entrato in vigore a febbraio 2005, definisce le attrezzature per l’organizzazione di pronto soccorso nelle aziende.

• Le cassette di pronto soccorso devono essere adeguatamente custodite presso il sito, in luoghi facilmente accessibili ed individuabili con segnaletica appropriata.

• Il contenuto delle cassette deve essere conforme alle prescrizioni minime dell’allegato 1 del DM 388/03. Deve essere costantemente assicurata la completezza ed il corretto stato d’uso dei presidi contenuti.

• Deve essere disponibile, per tutti i lavoratori (incluso il personale itinerante), un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare il sistema d’emergenza del SSN (118 o 112 dove già attivato).

• Ai lavoratori che prestano la propria attività in luoghi diversi dalla sede aziendale o unità produttiva deve essere fornito il pacchetto dimedicazione conforme ai requisiti dell’allegato 2.

• La formazione per i nuovi addetti è svolta da personale medico ed avviene in conformità a quanto previsto dall’allegato 4 del Decreto (12 ore per aziende del gruppo B).

• La formazione deve essere ripetuta ogni tre anni, almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico (in questa fase il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato).

Gruppo A

I. Aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica, di cui all’articolo 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, aziende estrattive ed altre attività minerarie definite dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624, lavori in sotterraneo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni II. Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno. Le predette statistiche nazionali INAIL sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale

III.

Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del

comparto dell’agricoltura

Gruppo B

Aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A

Gruppo C

Aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A

CONTENUTO MINIMO CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO

(AZIENDE GRUPPO B e C)

Guanti sterili monouso (5 paia)

Visiera paraschizzi

Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1)

Flaconi di soluzione fisiologica ( sodio cloruro – 0, 9%) da 500 ml (3)

Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10)

Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2)

Teli sterili monouso (2)

Pinzette da medicazione sterili monouso (2)

Confezione di rete elastica di misura media (1)

Confezione di cotone idrofilo (1)

Confezioni di cerotti di varie misure pronti all’uso (2)

Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2)

Un paio di forbici

Lacci emostatici (3)

Ghiaccio pronto uso (2 confezioni)

Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2)

Termometro

Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa

CONTENUTO MINIMO CASSETTA DI MEDICAZIONE

(AZIENDE GRUPPO A)

Guanti sterili monouso (2 paia)

Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml (1)

Flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml (1)

Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (1)

Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (3)

Pinzette da medicazione sterili monouso (1)

Confezione di cotone idrofilo (1)

Confezione di cerotti di varie misure pronti all’uso (1)

Rotolo di cerotto alto cm 2,5 (1)

Rotolo di benda orlata alta cm 10 (1)

Un paio di forbici (1)

Un laccio emostatico (1)

Confezione di ghiaccio pronto uso (1)

Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari

9. PIANO DI EMERGENZA

9.1 INTRODUZIONE

Il T.U., sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, affronta fra i suoi argomenti il tema dell’emergenza.

In particolare, nel Titolo I, Capo III, sezione VI si formulano indicazioni a carico dei datori di lavoro relative alle misure da attuare in caso di prevenzione degli incendi, evacuazione dei lavoratori e pronto soccorso, che possono concretizzarsi in una vera e propria gestione dell’emergenza.

Le prime indicazioni legislative in merito ad una possibile gestione e organizzazione dell’emergenza si riscontrano nel DM 31/07/34 sull’impiego e sulla manipolazione degli oli minerali.

Successivamente, nell’art. 48 del DPR 185/64 sull’uso pacifico dell’energia nucleare, l’argomento si andava configurando in termini più netti e dettagliati nell’obbligo della pianificazione delle “situazioni eccezionali”.

In seguito, nel DPR 175/88 all’art. 5, si dispone l’obbligo di predisposizione dei “piani di emergenza” così denominati dal legislatore e la cui responsabilità è attribuita ai gestori di impianti o attività a rischio di incidente rilevante.

Questo breve quadro storico-normativo dimostra che il concetto di piano di emergenza ha subito una evoluzione, allargandone il campo di applicazione, non più limitato ad attività specifiche (oli minerali, energia nucleare, aziende a rischio di incidente rilevante), e precisando i compiti del datore di lavoro.

Tale evoluzione comporta una più concreta definizione laddove vengono individuati e delineati gli elementi strutturali di un piano di emergenza: pronto intervento, organizzazione del salvataggio, organizzazione del pronto soccorso, informazioni sui comportamenti da adottare in caso di pericolo, rapporti con le autorità competenti.

In particolare, l’andamento e l’evoluzione di una situazione di emergenza sono fatti dipendere dal livello organizzativo interno dell’azienda (risorse umane predisposte e disponibili, sistemi impiantistici idonei, etc.) e dalla capacità di contenere i danni (formazione professionale dei lavoratori).

Il T.U. richiede, in sostanza, al sistema aziendale che l’organizzazione interna per affrontare l’eventuale stato di emergenza sia uno strumento operativo facente parte a tutti gli effetti dell’insieme dei provvedimenti di sicurezza da attuare.

9.2 IL PIANO DI EMERGENZA (PE) LEGATO AI RISCHI PROPRI DELL’ATTIVITÀ

Le situazioni critiche, che possono dar luogo a situazioni di emergenza, possono essere grossolanamente suddivise in:

• eventi legati ai rischi propri dell’attività (incendi e esplosioni, rilasci tossici e/o radioattivi, etc.)

• eventi legati a cause esterne (allagamenti, terremoti, condizioni meteorologiche estreme, etc.)

Una particolareggiata e approfondita valutazione dei rischi di una attività lavorativa permette di rilevare l’eventuale possibilità di avere incidenti anche particolarmente gravi e a bassa probabilità di accadimento, non evitabili con interventi di prevenzione e per i quali è necessario predisporre misure straordinarie

da attuare in caso di reale accadimento.

L’insieme delle misure straordinarie, o procedure e azioni, da attuare al fine di fronteggiare e ridurre i danni derivanti da eventi pericolosi per la salute dei lavoratori (e della eventuale popolazione circostante) viene definito piano di emergenza.

Obiettivi principali e prioritari, di un piano di emergenza aziendale, sono pertanto quello di:

• ridurre i pericoli alle persone

• prestare soccorso alle persone colpite

• circoscrivere e contenere l’evento (in modo da non coinvolgere impianti e/o strutture che a loro volta potrebbero, se interessati, diventare ulteriore fonte di pericolo) per limitare i danni e permettere la ripresa dell’attività produttiva al più presto.

In generale, salvo il caso di attività che, comportando il rischio specifico di incendio, esplosione, rilascio tossico e/o radioattivo, sono soggette ad una o più normative tecniche o legislative specifiche e salvo diversa specifica determinazione, non si ritiene necessaria la stesura di un vero e proprio piano di emergenza, bensì può essere sufficiente la predisposizione di procedure formalizzate che prevedano:

• una adeguata informazione e formazione dei lavoratori per quanto riguarda l’utilizzo degli equipaggiamenti di emergenza (estintori, autorespiratori, etc.) determinati ed introdotti in base alla valutazione dei rischi

• una corretta gestione dei luoghi di lavoro (non ostruzione delle vie di esodo, rimozione, occultamento o manomissione degli equipaggiamenti di emergenza, etc.)

• una corretta e tempestiva manutenzione degli impianti.

9.3 CRITERI GENERALI PER LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO DI EMERGENZA

La predisposizione di un PE consiste inizialmente nello studio analitico del maggior numero possibile di deviazioni incidentali, valutando l’andamento delle reali conseguenze (quali ad esempio: propagazioni di fronti concentrati o distribuiti di energia, emissione di sostanze pericolose, etc.).

Successivamente, è possibile procedere alla progettazione dei PE tenendo conto che ogni procedura e/o fase di intervento individuata deve rispettare i seguenti criteri generali.

PRECISIONE

La progettazione non può essere assolutamente generica ma deve definire in modo dettagliato i compiti, i ruoli, le responsabilità e la sequenza delle azioni.

CHIAREZZA E CONCISIONE

La procedura deve essere comprensibile a tutte le persone chiamate alla sua gestione, e concisa nelle informazioni che fornisce.

FLESSIBILITÀ

Cioè adattabile, in caso di incidente, ad eventuali discostamenti dalle situazioni previste. È bene ricordare che è ampia la possibilità di avere discostamenti rispetto alle situazioni previste; questi, oltre a non essere facilmente o sempre individuabili, possono essere anche legati a fattori esterni (come ad esempio le condizioni meteorologiche o di viabilità).

REVISIONE E AGGIORNAMENTO

Una procedura correttamente messa a punto non si presenta mai come uno strumento statico, deve invece offrire la possibilità di essere facilmente adattata alle modifiche che accompagnano la vita di una attività.

Ovviamente, in caso di modifiche sostanziali o totali, ad esempio, di un impianto, la procedura specifica va riprogettata e resa compatibile con il piano di emergenza globale preesistente.

CONCRETA DEFINIZIONE DEGLI STRUMENTI PER LA GESTIONE DELL’EMERGENZA

Le procedure devono fare riferimento in modo puntuale alle effettive potenzialità di intervento (ad esempio è inutile parlare di allertamento della squadra di emergenza o della pubblica Autorità, quando non si dispone di mezzi di comunicazione sicuramente fruibili come spesso succede in una attività con linee telefoniche sempre impegnate).

9.3 CHECK LIST PER LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO DI EMERGENZA (PE)

Di seguito si illustra una serie di argomenti che, senza la pretesa di essere esaustivi, devono essere presi in esame per mettere a punto le procedure e gli strumenti destinati alla risoluzione dell’emergenza:

DOCUMENTAZIONE

Un PE comporta, in fase preliminare, l’acquisizione di informazioni necessarie alla sua predisposizione ed alla sua successiva gestione. In particolare, la documentazione deve contenere:

• informazioni sul sito e sull’ambiente, intesi come vicinanza di insediamenti civili e industriali, corsi fluviali e grandi vie di comunicazione, orografia della zona, etc.

• indicazioni su tutte le vie di accesso interne ed esterne all’azienda con dettaglio sulla viabilità, larghezza, etc.

• indicazioni sui cicli produttivi (materie prime e ausiliarie, prodotti intermedi, prodotti finiti, etc.)

• indicazioni sul layout dell’attività con la segnalazione delle zone o aree nelle quali è stata individuata la possibilità di eventi incidentali (incendi,

esplosioni, rilasci, etc.)

• indicazioni sui sistemi di protezione attiva (mezzi di estinzione incendi, sistemi di abbattimento e/o inertizzazione, etc.) o passiva (compartimentazione, sistemi di rilevazione, percorsi di esodo protetti, etc.)

• informazioni su eventi analoghi avvenuti in precedenza e relativi interventi di contenimento attuati (case history)

• organigrammi generali e particolari di reparto.

La conoscenza dettagliata della composizione dei reparti e delle competenze professionali presenti in azienda permette di individuare le diverse figure che dovranno gestire il piano di emergenza sia in fase preventiva (addestramento e formazione, verifica della funzionalità dei sistemi di protezione) sia in fase di intervento.

STUDIO E CLASSIFICAZIONE DELLE EMERGENZE

Lo studio e la valutazione delle possibili conseguenze degli eventi incidentali ed una loro classificazione sono necessari a dimensionare adeguatamente gli interventi da attuare.

La classificazione può essere organizzata, ad esempio:

• per scala di gravità

• considerando che uno stesso evento incidentale può interessare una singola unità o impianto, più unità e, nei casi più gravi, anche zone o aree esterne allo stabilimento

• per tipologia di evoluzione

• per tipologia di evento

RESPONSABILITÀ

Un PE deve sempre prevedere la responsabilità, della sua gestione globale, affidata ad un unico soggetto (inteso come persona fisica presente in azienda: pertanto ne devono essere prevista più di una se la lavorazione si svolge su turni e nei casi di assenza).

Questo permette di evitare la sovrapposizione di compiti nel corso dei processi decisionali. Inoltre devono essere sempre individuati (in maniera precisa) i responsabili locali, per ogni turno di lavoro (in modo tale da assicurarne l’immediata disponibilità) e la gerarchia dei livelli decisionali non necessariamente coincidente con l’organigramma aziendale. Queste persone, destinate a intervenire in caso di emergenza, devono essere qualificate (per esperienza o formazione professionale mirata) e idonee a condurre le necessarie azioni richieste. La loro designazione deve avvenire previo mandato scritto e controfirmato per accettazione.

AREE OPERATIVE E CENTRO DI CONTROLLO

All’interno di un PE devono sempre essere individuati in modo puntuale i luoghi, aree operative e centro di controllo, da cui dirigere e sovrintendere le operazioni di emergenza. Alle aree operative, collocate in luoghi sicuri e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli incidenti, afferiscono generalmente le squadre di intervento, i responsabili locali e il responsabile di PE per l’effettuazione del primo intervento e di una prima e immediata stima sull’evoluzione dell’accaduto.

Il centro di controllo viene invece utilizzato e attivato quando l’incidente assume proporzioni tali da richiedere più squadre ed una loro gestione coordinata: esso rappresenta, nella gestione dell’emergenza, sicuramente l’elemento più delicato e vulnerabile in quanto è il luogo univoco di riferimento dal quale e con il quale deve essere sempre possibile comunicare, sia dall’esterno che dall’interno, in modo da disporre in tempo reale di tutte quelle informazioni e direttive utili alla conduzione dell’emergenza stessa. Al centro di controllo afferisce il responsabile di PE che coordina tutte le successive operazioni predisponendo, se necessario, la richiesta di soccorso esterno, l’evacuazione del personale e l’attivazione del pronto soccorso.

Ovviamente a seconda delle dimensioni e delle tipologie aziendali o delle tipologie di eventi ipotizzati le aree operative possono coincidere con il centro di controllo. All’interno del centro di controllo deve essere sempre disponibile (e aggiornata) la documentazione inerente la gestione dell’emergenza (planimetrie, schede di sicurezza dei prodotti, collocazione degli equipaggiamenti e delle attrezzature supplementari, etc.).

SQUADRE DI INTERVENTO

Sono costituite da personale interno, espressamente individuato per effettuare anche questo tipo di lavoro, immediatamente disponibile all’occorrenza. La pronta disponibilità va intesa come presenza fisica sempre assicurata sia dal punto di vista della composizione prevista per la squadra, che per qualificazione professionale dei componenti, anche in caso di lavoro a turni o assenze; il numero delle squadre e la loro composizione vanno stabiliti in funzione dei rischi e della dimensione dell’attività.

Particolare attenzione va posta alla qualificazione professionale degli operatori che compongono la squadra, in quanto deve essere direttamente correlata al compito da svolgere. Questo non si esaurisce nel solo intervento tecnico (salvataggio, lotta antincendio, attivazione dispositivi di sicurezza, bonifica, etc.) ma deve prevedere, nei casi in cui si possono generare situazioni di panico, la capacità di supporto psicologico e mantenere un atteggiamento rassicurante nei confronti delle persone coinvolte.

Infine, mediante esercitazioni e simulazioni, che favoriscono la coesione e l’unitarietà della squadra, vanno periodicamente controllate la capacità e la tempestività di intervento.

EQUIPAGGIAMENTO DI EMERGENZA

Sulla base della classificazione delle emergenze devono essere individuati e predisposti i relativi equipaggiamenti. Questi sono generalmente costituiti dai mezzi personali di protezione, dai mezzi di salvataggio, dalle attrezzature necessarie per fronteggiare l’emergenza e dalla specifica segnaletica (ad esempio per la restrizione degli accessi e per l’ulteriore segnalazione delle vie di fuga) e dei quali devono essere dotate le squadre di intervento.

Gli equipaggiamenti devono essere collocati in luoghi prefissati (aree operative); in particolare è opportuno che la specifica dotazione delle squadre sia posta in luoghi protetti e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli eventi ipotizzati. Una scorta di equipaggiamenti, valutata sulla base di possibili esigenze legate all’evoluzione dell’incidente, deve essere sempre collocata in luogo protetto (cioè situato a distanza di sicurezza interna rispetto alle possibili zone pericolose) e facilmente accessibile.

È opportuno sottolineare che, in alcune situazioni (es. rilasci tossici), è necessario mettere a disposizione dei lavoratori, non impegnati nelle squadre di intervento, i mezzi di protezione personale per potersi allontanare dal luogo pericoloso. Tutte le informazioni sulla collocazione degli equipaggiamenti devono essere riportate su planimetrie opportunamente dislocate all’interno dei locali. L’equipaggiamento di emergenza deve essere periodicamente verificato per accertarne lo stato di conservazione e l’efficienza: le verifiche devono essere annotate su un apposito registro, con data e firma della persona incaricata del compito.

In occasione delle esercitazioni o prove di simulazione, le squadre di intervento e le altre persone coinvolte devono fare uso di quanto predisposto (DPI, attrezzature, etc.).

PRONTO SOCCORSO

Un’azione di pronto soccorso può essere fine a se stessa (sostanzialmente quando l’infortunio è l’unica conseguenza di un evento accidentale o di una procedura errata) o costituire una delle azioni da attivare nell’ambito di un piano di emergenza. In ogni caso la predisposizione di un servizio di pronto soccorso, o di un nucleo di soccorritori, presenta alcuni elementi di complessità per cui se ne ritiene opportuna una trattazione separata, di cui si consiglia lettura.

Il nucleo di soccorritori, pur dipendendo in modo funzionale dal proprio responsabile locale, deve disporre di una propria autonomia operativa in modo da assicurare sempre un primo intervento immediato alle persone colpite. I soccorritori, una volta effettuata una prima valutazione della situazione sanitaria, devono prestare i primi soccorsi alle persone colpite e attivare il servizio di pronto soccorso interno, se esistente, o direttamente le strutture esterne.

SEGNALAZIONI E COMUNICAZIONI

Un problema da non sottovalutare nella predisposizione di strumenti, presidi o sistemi per la gestione delle emergenze è la funzione che hanno le segnalazioni e le comunicazioni e la loro reale fruibilità. Non è improbabile, infatti, che parte della disorganizzazione o dei ritardi nella gestione dell’emergenza sia dovuta alla confusione che si genera nei normali canali di trasmissione interni ed esterni. È necessario quindi prevedere con estrema precisione i possibili sistemi di allarme, distinti dai normali segnali ottici e/o acustici, e le procedure da seguire per la loro attivazione, nonché i possibili sistemi di comunicazione fra le singole aree operative ed il centro di controllo (es. ricetrasmittenti portatili).

Può essere inoltre opportuno prevedere la possibilità di intervento nelle comunicazioni attivando o linee riservate destinate esclusivamente a questo scopo, o deviando le linee di emergenza su canali di trasmissione privilegiati.

EVACUAZIONE

Fermo restando la predisposizione di vie ed uscite di emergenza di cui all’allegato IV – Requisiti dei luoghi di lavoro – punto 1.5 del T.U. , il PE deve individuare tutti i percorsi, preferenziali ed alternativi, che da ciascun posto di lavoro devono essere seguiti per raggiungere i luoghi sicuri. In situazioni con elevato affollamento di persone, ed in particolare in presenza di pubblico, può essere necessario predisporre nuclei di operatori esclusivamente addetti all’evacuazione, cioè capaci di indirizzare e convogliare verso le vie di fuga, prestabilite dal PE, i flussi di persone; loro compito specifico è anche quello di verificare che l’evacuazione sia completa e avvenga in modo ordinato verso luoghi sicuri o centri di raccolta. I centri di raccolta sono zone in cui devono confluire inizialmente le persone per poi essere allontanate definitivamente ed in modo ordinato per evitare intralcio agli eventuali mezzi di soccorso.

Nei luoghi di lavoro non aperti al pubblico il centro di raccolta deve essere utilizzato anche per censire le persone evacuate. Qualora l’evacuazione sia predisposta esclusivamente verso i centri di raccolta sarà necessario prevedere un appropriato numero di sistemi o mezzi di trasporto per effettuare l’ulteriore allontanamento delle persone. Dai centri di raccolta deve essere possibile comunicare con il centro di controllo dell’emergenza. I luoghi sicuri e le vie di emergenza devono essere riportati sulle planimetrie citate per gli equipaggiamenti; in situazioni particolarmente complesse può essere necessario predisporre planimetrie separate.

ATTIVAZIONE DELLA PUBBLICA AUTORITÀ

Il coinvolgimento della pubblica Autorità (Prefettura, Vigili del fuoco, etc.) è una decisione che va ponderata accuratamente e deve essere presa quando non si è in grado di valutare l’entità dell’evento oppure ci si rende conto che è impossibile arrestare l’emergenza con le procedure previste o questa può travalicare i confini dello stabilimento.

Pertanto, ogni qualvolta un evento pericoloso assume proporzioni non limitabili e comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all’interno dell’azienda vanno attivate, per gradi, le risorse esterne predisposte dalla pubblica Autorità. Nel richiedere l’aiuto esterno va fornito, anche in tempi successivi, il maggior numero di informazioni possibili e utili a migliorare l’intervento stesso quali ad esempio:

stato dell’emergenza (allarme, preallarme)

ubicazione dell’evento

dimensioni dell’evento

tipo e quantità delle sostanze coinvolte

equipaggiamenti di emergenza presenti in azienda

condizioni climatiche (ad esempio in caso di rilascio di sostanze pericolose)

previsioni sulle possibili conseguenze esterne

dati identificativi di chi trasmette

È anche necessario che vengano individuate una o più persone che sul posto siano in grado di fornire informazioni più dettagliate sull’evento ai responsabili della pubblica Autorità intervenuti sul luogo. Le procedure di richiesta di intervento della pubblica Autorità, all’interno di un PE, devono includere in modo preciso i diversi enti da coinvolgere (a seconda del tipo di incidente), le modalità di richiesta, i soggetti incaricati di effettuare la richiesta, ed infine i vari livelli di attivazione (Vigili del fuoco, AUSL, Sindaco, Prefettura, Regione, etc.).

VERIFICA

Un PE, prima di essere definitivamente adottato, deve essere sottoposto ad una sorta di “analisi di congruità” che ne accerti l’effettiva capacità di applicazione in tutte le situazioni esaminate. In particolare, occorre valutare e verificare:

la risposta dei PE in merito all’eliminazione o minimizzazione delle conseguenze

la capacità/tempestività decisionale ed applicativa delle procedure espressa dai responsabili di PE

l’efficienza e l’affidabilità degli equipaggiamenti predisposti

l’adeguatezza delle vie di esodo e delle eventuali aree di sicurezza (o centri di raccolta)

l’affiatamento, la capacità tecnica e la tempestività delle squadre di intervento

il grado di conoscenza delle procedure da parte di tutti i lavoratori presenti in azienda.

Queste verifiche devono essere effettuate con simulazioni ed esercitazioni; è opportuno che siano coerenti con gli eventi ipotizzati e con la dimensione dell’attività, non devono cioè essere limitate solo ai singoli impianti, ma prevedere anche situazioni più ampie, come il coinvolgimento dell’intero stabilimento o della pubblica Autorità.

Devono ovviamente essere affrontate in tutte le condizioni possibili (dì, notte, giorni festivi, condizioni di maltempo, etc.) ove richiesto dalla tipologia e dalle caratteristiche dell’attività. I risultati delle simulazioni, esercitazioni o prove possono fornire, infine, utili indicazioni sia in merito a modifiche, integrazioni, predisposizioni di procedure alternative sia alla reale risposta dei sistemi o presidi di emergenza predisposti. Tutti gli argomenti finora illustrati vanno infine a costituire un unico elaborato che rappresenta il piano di emergenza. Il piano di emergenza non deve essere considerato un documento riservato alla sola direzione aziendale ma deve essere reso noto ai lavoratori, almeno per le parti in cui gli stessi possono essere direttamente coinvolti.

In particolare, è opportuno che copie del piano siano sempre a disposizione di tutti i lavoratori chiamati a svolgere un ruolo attivo all’interno della gestione dell’emergenza: una sua adeguata e capillare diffusione, ed eventuale discussione all’interno di un’azienda, permette tra l’altro di sviluppare un ruolo altamente collaborativo da parte di tutto il personale.

10. SORVEGLIANZA SANITARIA

10.1 PREMESSA

La sorveglianza sanitaria è un’attività complessa volta a tutelare la salute dei lavoratori e a prevenire l’insorgenza di malattie professionali; si può definire come la somma delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di laboratorio, delle informazioni sanitarie e dei provvedimenti adottati dal medico, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori nei confronti del rischio lavorativo.

10.2 QUANDO VA FATTA

L’art. 18, comma 1, lettera a del T.U. prevede che il datore di lavoro nomini il medico competente “nei casi previsti dal presente decreto”. In caso di inosservanza, la sanzione prevista é quella citata all’art. 55, comma 4, lettera f: arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 3.000 a 10.000 euro.

I casi in cui vige l’obbligo di nominare il medico competente sono:

• movimentazione manuale di carichi, movimenti ripetuti degli arti superiori (ove la valutazione dei rischi abbia evidenziato un rischio effettivo)

• attività davanti a unità video (ove la valutazione dei rischi abbia evidenziato lavoratori che utilizzano il PC per un tempo superiore alle 20 ore complessive settimanali)

• esposizione ad agenti fisici (rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, microclima, atmosfere iperbariche): in tutti i casi in cui si sia rilevata un’esposizione tale da supporre possibili conseguenze sulla salute

• sostanze pericolose (chimiche, cancerogene, mutagene)

• agenti biologici

In questi casi il datore di lavoro deve nominare un Medico Competente (MC) che sottoporrà i lavoratori ad accertamenti sanitari, preventivi e periodici, e che dovrà fornire indicazioni sul significato dei risultati, trasmettendoli annualmente al datore di lavoro ed al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. I costi della sorveglianza sanitaria sono a carico del datore di lavoro.

10.3 CHI LA PUÒ EFFETTUARE

Come già detto, la sorveglianza sanitaria può essere svolta esclusivamente da un MC, una delle figure del sistema di prevenzione aziendale.

Il MC è un medico specialista in medicina del lavoro (o discipline analoghe) cioè un medico che ha approfondito i suoi studi sugli effetti dannosi per la salute dei vari rischi presenti sui luoghi di lavoro. Può essere nominato MC un medico in possesso dei seguenti titoli:

1) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro e altre specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del ministro della Sanità di concerto con il ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica

2) docenza o libera docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro

3) autorizzazione di cui all’art. 55 del D.Lgs. 277/91

4) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale La nomina deve risultare formalizzata mediante lettera di incarico.

10.4 COSA FA IL MEDICO COMPETENTE

Il MC deve compilare per ciascuna mansione presente sul luogo di lavoro un protocollo sanitario e di rischio.

Deve, cioè, elencare i rischi che ha individuato tramite il sopralluogo (che è la visita delle varie postazioni del ciclo produttivo), il documento di valutazione dei rischi, le schede tecniche delle sostanze utilizzate ed i risultati di eventuali misure ambientali.

Una volta individuati i rischi e la loro entità deciderà la periodicità della visita medica e degli accertamenti integrativi che riterrà necessari per poter esprimere il giudizio di idoneità.

L’attività del MC, pertanto, comprende:

a. accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica

b. accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica

c. visita medica su richiesta del lavoratore

d. visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica

10.5 ACCERTAMENTI INTEGRATIVI

Si tratta di esami aggiuntivi (su sangue, urine o strumentali) che il medico competente ritiene necessari per poter esprimere il giudizio di idoneità.

I più comuni sono:

AUDIOMETRIA

serve a valutare la funzione uditiva. Viene utilizzato quando la mansione espone al rischio rumore. È un esame non invasivo che deve essere eseguito in un ambiente silenzioso, preferibilmente all’interno dell’apposita cabina detta “silente”.

SPIROMETRIA

è l’esame che valuta la funzione respiratoria, si utilizza nei casi di esposizione a polveri di varia natura, ad agenti chimici volatili, a fumi di saldatura, a vapori.

ELETTROCARDIOGRAMMA A RIPOSO O SOTTO SFORZO

valuta parte della funzionalità cardiaca, può essere utile per valutare l’idoneità a mansioni che comportano sforzi fisici intensi o che si svolgono in altezza.

ESAMI DEL SANGUE E DELLE URINE

in genere si ricercano i valori che indicano la funzionalità di rene, fegato e dei componenti ematici (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine).

MONITORAGGIO BIOLOGICO

in caso di esposizione ad alcune sostanze chimiche (come alcuni solventi) è possibile rintracciarne le tracce nei liquidi biologici (in genere urine), la quantità rilevata indica se il grado di esposizione è accettabile o supera i limiti consentiti. Per alcune sostanze esistono dei valori limite all’interno dei quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa essere esposta senza danni per la salute.

10.6 COSA COMPRENDE

La sorveglianza sanitaria comprende:

• visita preventiva che ha lo scopo di stabilire se le condizioni di salute del lavoratore gli consentono di essere esposto ai rischi presenti nella sua mansione e sul suo luogo di lavoro. Essa deve essere effettuata prima che il lavoratore inizi a lavorare, e deve essere ripetuta nel caso di cambio mansione.

Le recenti modifiche al T.U. hanno introdotto la possibilità di effettuare la visita preventiva anche in fase preassuntiva, prima cioè che si siano concluse le pratiche burocratiche dell’assunzione.

• successive visite periodiche mirate a controllare che l’esposizione a tali rischi non abbia prodotto dei danni, cioè abbia provocato l’insorgenza di malattia, e a confermare l’idoneità del lavoratore a svolgere la sua mansione.

• visita straordinaria richiesta dal lavoratore stesso quando ritiene di avere dei disturbi provocati dal lavoro, spetta al medico decidere se la richiesta è giustificata o no.

• visita alla cessazione del rapporto di lavoro prevista nel caso che il lavoratore sia stato esposto a particolari rischi.

• visita al rientro al lavoro dopo un periodo di assenza per malattia di almeno 60 giorni. Al termine della visita e degli eventuali esami aggiuntivi, il medico competente esprime un giudizio di idoneità alla mansione specifica cioè alla mansione alla quale è adibito il lavoratore. Esso può essere:

• idoneo alla mansione specifica

• temporaneamente non idoneo alla mansione specifica significa che le condizioni di salute che non consentono di adibire il lavoratore alla sua mansione sono solo temporanee; è previsto cioè un miglioramento nel tempo

• idoneo con prescrizioni o limitazioni il lavoratore può svolgere la sua mansione ma con particolari accorgimenti, come evitare alcune manovre o alcune fasi dell’attività lavorativa oppure riducendo il ritmo di lavoro

• non idoneo alla mansione specifica in questo caso il medico competente ritiene che le condizioni cliniche del lavoratore non gli consentono di svolgere la mansione per la quale è stato assunto, in questo caso il datore di lavoro deve adibire il dipendente ad altra mansione concordata con il medico, ricordiamo però che se può essere dimostrato che non ci sono mansioni alternative la non idoneità può essere causa di licenziamento.

Il giudizio di idoneità deve essere consegnato in forma scritta al lavoratore, il quale se non lo condivide può fare ricorso al servizio pubblico di medicina del lavoro (SPISAL) della ASL entro 30 giorni.

In caso di ricorso, il lavoratore verrà sottoposto a visita da una specifica commissione medica che potrà modificare o confermare il giudizio del medico competente.

Il datore di lavoro dovrà attenersi a quanto deciso dalla commissione ASL. Per lavoratori non soggetti a sorveglianza sanitaria, ancora, il datore di lavoro ha facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

Il medico competente che effettui attività sanitaria nei confronti di dipendenti per i quali non sussistano previsioni di legge, tuttavia, dovrà accertarsi del libero consenso da parte del lavoratore.

Il D.L. 03/06/2008, n. 97, ha differito al 01/01/2009, il divieto di effettuare visite mediche di idoneità in fase preassuntiva (art. 41, comma 3, lettera a).

10.7 ACCERTAMENTI SANITARI DA TOSSICODIPENDENZA

Sulla Gazzetta Ufficiale del 15 novembre 2007, n. 266 è stato pubblicato il provvedimento della Conferenza Unificata del 30 ottobre 2007 concernente “Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza”.

Il provvedimento, all’art. 1 individua le seguenti cosiddette mansioni a

rischio, cioè quelle che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la

salute proprie e di terzi:

quelle inerenti attività di trasporto

le attività per le quali è richiesto un certificato di abilitazione per l’espletamento dei seguenti lavori pericolosi: impiego di gas tossici, fabbricazione ed uso di fuochi d’artificio, posizionamento e brillamento di mine, direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari.

L’Intesa inoltre definisce:

gli accertamenti sanitari da effettuare nei confronti dei lavoratori che svolgono le mansioni a rischio

i soggetti che tali accertamenti devono espletare

le procedure connesse agli stessi accertamenti

Nei casi e nelle condizioni previste, le visite preventive, periodiche e per cambio mansione sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcoldipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti (art. 41, c. 4).

10.8 LA CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO

È uno degli strumenti del MC, che deve istituirne una per ciascun lavoratore; essa contiene dati sanitari soggetti a segreto professionale quindi deve essere custodita in luogo sicuro in forma sigillata. Il datore di lavoro non deve avere accesso ai contenuti della cartella sanitaria e di rischio.

Il lavoratore ha diritto a ricevere in qualunque momento copia della sua cartella se ne fa richiesta. Ne riceverà comunque una copia alla cessazione del rapporto di lavoro. L’allegato 3A del T.U. ha previsto i contenuti minimi che il medico competente, nel corso della sorveglianza sanitaria, debba raccogliere e registrare nella cartella sanitaria e di rischio, tra questi fondamentali sono i rischi cui il lavoratore è esposto con i relativi livelli di esposizione quando presenti.