FORMAZIONE – PARTE SPECIFICA
RISCHI TRASVERSALI
Si possono definire come quei rischi che si situano nel rapporto tra il lavoratore e l’organizzazione del proprio lavoro. Ogni aspetto di questo rapporto che presenti eccessi o difetti, di quantità o qualità, può porre il lavoratore in una situazione di rischio trasversale o, appunto, organizzativo.
Si possono definire, quattro tipologie di fattori da cui possono derivare rischi trasversali:
- Organizzazione del lavoro: attività svolte in condizioni particolarmente usuranti: lavori in continuo, sistema di turni gravoso, lavoro notturno, movimentazione manuale dei carichi (MMC), lavoro ai terminali (VDT). Inoltre, in questa categoria rientrano gli incarichi che gravano il lavoratore di un onere aggiuntivo, come la pianificazione e il controllo degli aspetti riguardanti salute e sicurezza, la manutenzione degli impianti, il monitoraggio delle procedure di emergenza.
- Fattori psicologici: È una classe molto importante, che riguarda tutte le situazioni generatrici di stress correlato o sofferenza psichica, come la solitudine o la monotonia imposte dal proprio compito, la potenziale conflittualità con i colleghi di lavoro, l’impossibilità di contribuire ai processi decisionali.
- Fattori ergonomici: Comprendono tutte le cause ergonomiche in senso stretto (facilità di utilizzo degli strumenti, istruzioni adeguate all’uso, condizioni di sicurezza affidabili) e anche quelle relative, in senso lato, all’ambiente e alle condizioni di lavoro.
- Condizioni di lavoro difficili. Sono classificabili come “difficili” una molteplicità di condizioni lavorative: il lavoro in presenza di condizioni climatiche e di pressione logoranti, con animali, in acqua o in generale in situazioni in cui il lavoratore avverta la costante pressione del pericolo.
1.STRESS LAVORO CORRELATO
In anni recenti si tende a ridurre molti rischi trasversali alla categoria del rischio da stress lavoro-correlato, che in effetti costituisce uno degli esiti più frequenti dell’esposizione a questo genere di rischi.
Infatti, lo stress lavoro-correlato è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica (come ansia, irritabilità e depressione) o sociale ed è conseguenza del fatto che la qualità e/o la quantità di lavoro sono sproporzionate rispetto a ciò che il soggetto sa e può fare e a ciò che il soggetto guadagna, pertanto questi individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.
Lo stress lavoro-correlato pertanto può interessare potenzialmente ogni luogo di lavoro quindi dal supermercato sotto casa, all’ente pubblico fino alla grande impresa per ogni categoria di lavoratore in quanto causato da aspetti strettamente connessi con l’organizzazione e l’ambiente di lavoro.
FATTORI DI STRESS:
- TIPO DI LAVORO
- lavori che sottopongo il soggetto ad elevati livelli di stress: medici, infermieri, insegnanti, psicologi
- AMBIENTE LAVORATIVO
- Organizzazione nel suo complesso, ambiente, il team
- Rapporti interpersonali con i supervisori/superiori o nel gruppo di lavoro
- ECCESSIVO CARICO DI LAVORO
- lavoro straordinario indesiderato specie quando percepito come una funzione per il soggetto;
- tempo insufficiente per rispettare le scadenze di lavoro;
- programmazione dei cicli di lavoro e di riposo;
- RITMI FRENETICI
- con molti straordinari tali perché il soggetto vive per lavorare e non ha tempo per se e/o per la propria famiglia
Metodi per contenere e ridurre lo stress da lavoro:
- Definire chiaramente ruoli e compiti in azienda;
- Fare momenti di condivisione e di confronto tra i lavoratori;
- Avere una dieta equilibrata, evitando il consumo di cibi spazzatura;
- Ridurre o eliminare il consumo di calmieranti come caffè, fumo o alcool;
- Eseguire regolare attività fisica, come camminare o stretching;
- Definire 15 minuti a settimana di ordine e pulizia delle postazioni di lavoro;
- Programmare pause chiare e ben definite;
- Definire un’area di pausa chiara e ben definita;
- Favorire almeno un incontro annuale tra Preposto, RLS ed eventualmente RSPP.
2.AMBIENTI LAVORATIVI: MICROCLIMA, ILLUMINAZIONE E IGIENE
Diamo uno sguardo ad alcuni fattori di rischio correlati agli ambienti lavorativi:
- microclima o aerazione sfavorevole: se il microclima di un ambiente e il benessere termico dipendono da una serie di fattori ambientali (temperatura, umidità relativa, velocità dell’aria) bisogna anche considerare il tipo di vestiario indossato dal lavoratore (classificato in base alla resistenza termica che oppone alla dispersione del calore), e l’attività svolta dallo stesso (calcolata in base al dispendio energetico). La scelta degli indumenti indossati (tuta da lavoro, divisa, e/o DPI) deve essere fatta in relazione all’attività da svolgere; ciò è determinante per raggiungere le condizioni di benessere termico.
Tra le cause più frequenti di condizioni microclimatiche inadeguate, possiamo annoverare:
-scarso isolamento termico dei locali, che può provocare temperature inadeguate nella stagione invernale ed estiva
-rapporti aeranti insufficienti, in quest’ultimo caso, se si sceglie di risolvere il problema con l’utilizzo di impianti di aerazione forzata, una cattiva progettazione e realizzazione dell’impianto può non garantire i ricambi d’aria necessari” e può provocare “sbalzi di temperatura eccessivi all’interno di uno stesso ambiente, nonché fastidiose correnti d’aria”;
- illuminazione inadeguata: il documento sottolinea che tutti i luoghi di lavoro devono essere adeguatamente illuminati. Se la scelta del tipo di illuminazione è errata o le fonti sono collocate in posizioni non idonee, si ottiene un’eccessiva o scarsa visibilità dell’ambiente di lavoro, che comporta:
- diminuzione della capacità visiva, favorendo l’insorgenza di affaticamento visivo,
- assunzione di posture scorrette
- aumento della possibilità di compiere errori. Quest’ultima condizione, oltre a pregiudicare la qualità del lavoro eseguito, accresce l’eventualità che si verifichino eventi traumatici infortunistici (es. scivolamenti, inciampi, urti, ecc.). Tale problema può assumere aspetti rilevanti nelle aree magazzino, che in genere contengono in ampi spazi numerose scaffalature, sviluppate in altezza.
- carenze nella struttura e nell’igiene dei locali: ad esempio “fattori legati alla struttura dei locali, alla tipologia d’uso degli stessi, alla disposizione dei flussi delle persone, dei veicoli, dei materiali, possono essere causa di infortuni quali: cadute dalle scale, inciampo, investimento, ecc”. E’ importante:
–Organizzazione delle vie di transito di mezzi di trasporto dei materiali (automezzi, muletti, transpallets, ecc.) e della circolazione dei pedoni, se non progettata e realizzata in modo funzionale, può provocare investimenti di persone, urti, schiacciamenti, ribaltamenti dei mezzi ecc”.
–Corretta pavimentazione: “la presenza di buche, sporgenze e ostacoli non rimovibili è causa di sbandamento e rovesciamento dei mezzi di trasporto, ma anche di scivolamenti, inciampo e cadute dei pedoni”.
-Locali di lavoro e impianti “devono essere mantenuti in buono stato e regolarmente puliti”. E “in tutti i casi, occorre prestare attenzione alle possibili infiltrazioni di umidità, con conseguente formazione di muffe, che concorrono a creare un ambiente insalubre per chi vi lavora”.
Il documento si sofferma poi sulle condizione di igiene e ricorda anche le indicazioni normative relative all’eventuale uso di locali seminterrati o interrati.
Veniamo a qualche indicazione per la prevenzione.
Riguardo il microclima si indica che:
-partendo dal presupposto di una corretta progettazione dei locali, nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente, è “di fondamentale importanza la verifica e la manutenzione periodica degli impianti stessi, che deve avvenire in modo programmato”;
–la scelta della postazione di lavoro dell’operatore “deve essere effettuata tenendo presente la posizione delle fonti di calore (macchine, vetrate, ecc.)”;
–“se, per ragioni legate al ciclo lavorativo e al tipo di lavoro da effettuare, non è possibile, adottando le migliori tecnologie, ottenere ideali condizioni di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, è necessario prevedere periodi di acclimatazione, pause e periodi di riposo. In questi casi, è inoltre necessario indossare abiti protettivi atti a sopperire alle condizioni microclimatiche sfavorevoli”. Il documento segnala, ad esempio, che se il ciclo lavorativo prevede un passaggio continuo di un lavoratore da un ambiente interno a uno esterno, questo lavoratore nella stagione invernale “sarà continuamente sottoposto a sbalzi termici. In questi casi, è buona norma organizzare il lavoro in modo da ridurre al minimo il transito tra un ambiente caldo e uno freddo, e dotare i lavoratori di abbigliamento che ripari dal freddo”.
Riguardo l’illuminazione dei posti di lavoro si indica che:
–“deve consentire una buona visione, in modo da poter svolgere correttamente il lavoro in tutte le ore del giorno e in tutte le stagioni. La realizzazione di un impianto di illuminazione in un locale industriale deve essere effettuata valutando il tipo di struttura in cui l’impianto si inserisce e il tipo di attività che vi si svolge, quindi la disposizione delle postazioni di lavoro, dei flussi delle persone e gli spostamenti dei materiali che possono far mutare gli spazi di manovra e di transito, ovvero l’area da illuminare”.
-Inoltre, posto che nei locali industriali l’attività lavorativa è svolta utilizzando macchine utensili, “è opportuno che vengano installati impianti di qualità elevata, in grado di assicurare condizioni lavorative ottimali, unitamente a un elevato grado di sicurezza per il personale. In ogni caso, l’illuminazione generale dei locali industriali va molto spesso coordinata e integrata con un’illuminazione localizzata. Fondamentale, come per ogni impianto, è la manutenzione, che per edifici di vaste dimensioni, se avviene in modo programmato e periodico, garantisce notevoli vantaggi economici”.
Veniamo infine alle carenze nella struttura e nell’igiene dei locali:
-collocazione e organizzazione delle vie di circolazione di mezzi e pedoni in prossimità di zone pericolose;
-segnalazione ed eventuale segregazione delle zone pericolose (buche e/o sporgenze, ostacoli non rimovibili, porte, portoni, ecc.): “tutte le zone pericolose, se non possono essere rimosse, devono essere adeguatamente segnalate ed evidenziate; è bene ricordare che il formarsi di una buca o un gradino, non deve essere risolto apponendo un cartello di pericolo, ma programmando in modo funzionale e in linea con le esigenze aziendali, il suo ripristino in tempi ragionevoli, anche in relazione al grado di rischio”;
-verifica periodica di buona efficienza di tutte le strutture: pavimenti, passaggi, vie di transito, scale, vie e uscite di emergenza: “è fondamentale effettuare periodicamente la verifica di buona efficienza di tutte le strutture dei locali di lavoro (porte, portoni, finestre, pavimenti, passaggi, porte di emergenza, soppalchi, ecc.), ed eseguirne regolarmente la manutenzione, che garantisce la funzionalità. A questo proposito, azioni di sensibilizzazione sotto forma di informazione e formazione del personale che utilizza detti locali, permettono di focalizzare meglio, e senz’altro in tempi brevi, gli eventuali problemi che si vengono via via a creare”;
-manutenzione, pulizia, e verifiche di efficienza di spogliatoi, gabinetti, docce e lavabi, locali di riposo: “la manutenzione, la pulizia e la verifica di buona efficienza delle strutture devono essere effettuate, per garantire le condizioni di igiene dei servizi”;
-aerazione di locali sotterranei o semisotterranei, qualora utilizzati.
I RISCHI SPECIFICI
Rischi del contesto in cui l’attività viene svolta, ad esempio, i rischi collegati con l’utilizzo di un particolare tipo di attrezzature piuttosto che un altro a seconda del luogo dove si lavora, i rischi durante l’uso o la manipolazione di un acido durante una particolare fase di lavoro.
1. RISCHIO VIDEOTERMINALI
I videoterminali (Vdt) costituiscono oggi un elemento essenziale in quasi tutti gli ambienti lavorativi, siano essi uffici, dove il videoterminale è adesso lo strumento fondamentale di lavoro, che ambienti produttivi, dove in molti casi i videoterminali entrano con funzioni di controllo o per attività di progettazione.
Il lavoro al videoterminale pone dei rischi per la salute dei lavoratori, che dipendono non solo dal videoterminale stesso ma da tutto ciò che costituisce l’ambiente in cui il lavoratore si trova. I rischi legati al vero e proprio Vdt sono dipendenti dalle sue componenti (schermo, tastiera, mouse, altre periferiche) oltre che dalle caratteristiche dei software installati, mentre l’ambiente comprende la postazione di lavoro (essenzialmente scrivania e seduta) e quanto c’è intorno (luce ambientale, microclima, spazi di lavoro e di movimento, ambiente sonoro, ecc.).
Il rischio dovuto al Vdt è uno dei fattori considerati nella legislazione sulla salute e sicurezza sul lavoro, che pone la sua valutazione tra gli obblighi del datore di lavoro, come per tutti gli altri rischi presenti nell’ambiente lavorativo.
L’utilizzo del videoterminale può presentare dei rischi per i lavoratori addetti: infatti l’adibizione a un videoterminale, che per legge si concretizza in un tempo di adibizione di almeno 20 ore settimanali, comporta in genere il mantenimento di una postura statica e la concentrazione dell’attenzione (e dello sguardo) su uno schermo, per tutto o quasi il periodo di lavoro.
Si tratta quindi soprattutto di rischi per il sistema muscoloscheletrico legati alla postura assunta e ai movimenti che vengono fatti, e rischi per la vista legati alle caratteristiche di luminosità e contrasto dello schermo e dell’ambiente circostante.
PROCEDURA PRATICA GESTIONE VIDEOTERMINALE
Durante la normale attività lavorativa:
- Utilizzare sedie anti ribaltanti con 5 ruote e schienale e sedile regolabili separatamente
- Assumere una postura corretta di fronte al video, con piedi ben poggiati al pavimento e schiena dritta regolando allo scopo altezza del sedile e altezza e inclinazione dello schienale;
- Utilizzare un poggiapiedi se non si riesce ad appoggiare completamente i piedi per terra
- Regolare l’altezza della scrivania in modo da poter far entrare le gambe correttamente;
- Tenere lo spigolo superiore dello schermo allo stesso livello degli occhi e distante tra i 40 ed i 70 cm dagli occhi;
- Regolare inclinazione e luminosità dello schermo per ridurre riflessi e altri problemi visivi;
- Disporre mouse e tastiera davanti allo schermo in modo che la schiena sia ben appoggiata allo schienale e le braccia siano sulla scrivania
- Tenere appoggiate le braccia fino a livello degli avambracci e usare un mouse idoneo per evitare un irrigidimento della mano;
- Evitare posizioni fisse per molto tempo (più di due ore circa)
- Ogni 2 ore di lavoro ininterrotto allo schermo fare 15 minuti di pausa evitando di leggere documenti, smartphone o tablet;
Disposizione sulla scrivania:
- Tenere la scrivania in ordine con solo la documentazione necessaria per le lavorazioni da fare;
- Tenere la scrivania parallela alle finestre o, se non è possibile oscurare le finestre con tapparelle regolabili;
Esercizi per ridurre l’affaticamento oculare:
- Osservare con attenzione oggetti distanti più di 6 metri mettendo a fuoco i dettagli;
- Staccare lo sguardo dallo schermo e fare lavorazioni che non comportino lo stesso sforzo visivo;
- Seguire il perimetro del soffitto.
VIDEO: Utilizzo del videoterminale: https://www.youtube.com/watch?v=UOzRZNvoRMo
2. RISCHIO RUMORE
Il rumore è un segnale non desiderato, di origine naturale o artificiale. L’ipoacusia, cioè la diminuzione fino alla perdita della capacità uditiva, è il danno da rumore meglio conosciuto e più studiato e costituisce una delle malattie professionali ancora oggi più diffuse; tuttavia il rumore agisce con meccanismo complesso anche su altri organi ed apparati (apparato cardiovascolare, endocrino, sistema nervoso centrale ed altri) mediante attivazione o inibizione di sistemi neuroregolatori centrali o periferici.
Il rumore determina, inoltre, un effetto di mascheramento che disturba le comunicazioni verbali e la percezione di segnali acustici di sicurezza (con un aumento di probabilità degli infortuni sul lavoro), favorisce l’insorgenza della fatica mentale, diminuisce l’efficienza del rendimento lavorativo, provoca turbe dell’apprendimento ed interferenze sul sonno e sul riposo.
Le misurazioni fonometriche e la valutazione del rischio rumore devono essere effettuate da personale competente, nel rispetto delle metodologie indicate nel D. Lgs. 81/08. I valori misurati sono utilizzati dal tecnico competente che effettua la valutazione del rischio rumore, calcolando i livelli di esposizione personali che saranno, infine, confrontati con i valori d’azione e il valore limite, entrambi indicati nel D. Lgs. 81/08.
DPI: Otoprotettori (tappi auricolari, cuffie isolanti, caschi)
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO RUMORE
Misure di contenimento e gestione del rischio:
- Valutare la presenza sul mercato di macchine ed apparecchiature che abbiano una minor emissione di rumore;
- Programmare le lavorazioni soggette a rumore in modo da ridurre il numero delle ore di esposizione al rumore e del personale coinvolto;
- Schermare la zona in cui vi è l’emissione del rumore con pannelli fono assorbenti ed isolare l’area;
- Indossare cuffie o tappi monouso per le lavorazioni rumorose;
- Eseguire manutenzione periodica come indicato nel libretto di istruzioni della macchina;
- In caso di rumori strani o sospetti bloccare le lavorazioni e verificare la rottura di componenti ed eventualmente sostituirli;
- Evitare o ridurre l’esposizione di sostanze ototossiche o che possano danneggiare l’udito, come ad esempio:
- Toluene;
- Xilene;
- Stirene;
- Piombo;
- Acido cianidrico;
- Esano.
Livelli rischio rumore
Sorgente | Livello (dB) |
---|---|
Soglia di Udibilità | 0 |
Respiro Normale | 10 (appena udibile) |
Stormire di Foglie | 20 |
Voce Bisbigliata | 30 (molto quieto) |
Ristorante Tranquillo | 40 |
Ufficio Silenzioso | 50 |
Conversazione tra 2 Persone | 60 |
Interno Ufficio Rumoroso | 70 (disturbante) |
Traffico Stradale Rumoroso | 80 |
Autotreno (a 15 metri) | 90 (pericolo esposizioni prolungate) |
Metropolitana | 100 |
Complesso Rock | 110 |
Martello Pneumatico | 120(soglia del dolore) |
Fuoco di Mitragliatrice | 130 |
Decollo piccolo Aviogetto | 140 |
Galleria Aerodinamica | 150 |
Decollo grande Aviogetto | 170 |
3. RISCHIO VIBRAZIONI
Le vibrazioni sono oscillazioni meccaniche rispetto ad un punto di riferimento, determinate da onde di pressione che si trasmettono attraverso corpi solidi; le oscillazioni caratteristiche delle vibrazioni possono essere libere o forzate, ossia influenzate da una forza esterna come nel caso dell’utilizzo di strumenti da parte di un lavoratore.
La valutazione del rischio vibrazioni richiede di analizzare quei fenomeni che sollecitano il sistema “mano-braccio” e il sistema “corpo intero”.
Per eseguire la valutazione dei rischi connessi all’utilizzazione di macchine vibranti che interessano un solo braccio o entrambe le braccia contemporaneamente si fa riferimento alle disposizioni delle norme :
-UNI EN ISO 5349-1 “Vibrazioni meccaniche – Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano”
-UNI EN ISO 5349-2 “Vibrazioni meccaniche – Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano – Parte 2: Guida pratica per la misurazione al posto di lavoro”.
In genere si prendono misure Preventive (ad esempio “pause”), più che misure Protettive.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO VIBRAZIONE
Misure di contenimento e gestione del rischio:
- Programmare le lavorazioni soggette a vibrazioni in modo da ridurre il numero delle ore di esposizione al rumore e del personale coinvolto;
- Indossare guanti antivibranti (Attenzione: non utilizzare guanti da lavoro in presenza di tale rischio, peggiorerebbero l’esposizione al rischio);
- Se si utilizzano degli strumenti a motore per eseguire tagli (motoseghe, decespugliatori, ecc.), utilizzare guanti che abbiano una doppia certificazione sia come antivibranti che antitaglio;
- Eseguire manutenzione periodica come indicato nel libretto di istruzioni della macchina;
- In caso di macchinari o strumenti che presentano scarsa manutenzione, segnalare il problema e provvedere alla sostituzione/riparazione.
DPI: Guanti antivibranti (ATTENZIONE: i normali guanti da lavoro amplificano le vibrazioni).
4. RISCHIO CHIMICO
Si intende per rischio chimico : Tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato.
Gli agenti chimici di distinguono in:
- gli agenti con proprietà pericolose di tipo chimico-fisico, a loro volta declinati in agenti infiammabili, esplosivi, comburenti e corrosivi;
- gli agenti con proprietà tossicologiche, ulteriormente distinti a loro volta in sostanze nocive, sensibilizzanti, irritanti, tossiche, teratogene e cancerogene.
Un primo strumento per l’immediata valutazione della pericolosità eventuale di un prodotto chimico è costituito dall’etichettatura, che definisce nove diversi pittogrammi di rischio.
Il processo di valutazione del Rischio da esposizione ad agenti chimici si articola, su tre fasi fondamentali:
- Valutazione del pericolo. Alla base vi è un’attenta e scrupolosa analisi della Scheda di Sicurezza del prodotto.
- Valutazione dell’esposizione. Deve tenere conto delle modalità attraverso la quale i lavoratori esposti possono entrare in contatto con la sostanza, della frequenza di utilizzo, della quantità massima e di valutazioni ambientali e rilevazioni biologiche.
- Caratterizzazione del rischio. Il Datore di Lavoro elabora una serie di misure preventive, protettive e di sorveglianza sanitaria, rivolte a eliminare o ridurre, la possibilità di esposizione alla sostanza nell’ambito dello scenario lavorativo analizzato, e in parallelo a monitorarne la presenza e la diffusione.
DPI: Respiratori e maschere facciali con filtri studiati in considerazione delle sostanze da cui devono proteggere, visiere e occhiali protettivi, guanti e indumenti con diverso grado di resistenza all’azione degli agenti corrosivi.
Procedura pratica Chimico
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO CHIMICO
Durante la normale attività lavorativa:
-
- Mantenere aggiornate le schede di sicurezza dei prodotti chimici utilizzati in azienda in lingua italiana e in quelle che gli operatori possano comprendere facilmente;
- Rendere le schede di sicurezza fruibili agli operatori esposti a tali rischi;
- Sostituire i prodotti utilizzati con altri a minor rischio per la sicurezza sul lavoro;
- Ridurre la quantità delle sostanze pericolose utilizzata e stoccata;
- Organizzare il lavoro in modo da ridurre il numero di persone esposte alle sostanze pericolose;
- Ridurre il numero delle ore di esposizione alle sostanze pericolose;
- Eseguire le lavorazioni con tali sostanze in ambiente controllati muniti di impianti di aspirazione idonei alla quantità di prodotto utilizzato;
- Indossare i seguenti DPI durante tali lavorazioni:
- Maschere per polveri e sostanze chimiche facciale completa o semifacciale;
- Occhiali protettivi (se non si usa una maschera semifacciale);
- Guanti protettivi;
- Crema Barriera (nel caso di allergia ai guanti e di esposizioni ridotte alle sostanze)
- Tuta protettiva (nel caso in cui le sostanze chimiche siano altamente corrosive ed aggressive per la pelle o di possibili esposizioni su tutto il corpo).
- Finita la lavorazione chiudere i DPI riutilizzabili negli appositi contenitori ed eliminare i dispositivi monouso;
- Lavarsi abbondantemente faccia e mani fino a livello avambraccio a fine lavoro;
- Eseguire periodicamente manutenzione e pulizia dei sistemi filtranti;
- Conservare le sostanze infiammabili ed esplosive in luoghi refrigerati e ben ventilati;
- Non conservare vicine sostanze che siano incompatibili tra di loro (ad esempio acceleranti con sostanze infiammabili);
- Smaltire le sostanze esauste come indicato sulle schede di sicurezza;
- Eseguire campionamenti periodici per i lavoratori esposti a sostanze pericolose.
In caso di emergenza:
- Mantenere la calma e attenersi a quanto indicato nella scheda di sicurezza;
- Chiamare la squadra di primo soccorso;
- Se possibile spostare l’infortunato dalla zona dell’incidente in una zona sicura e arieggiata
- Chiamare il centro antiveleni indicato nella scheda o sull’etichetta ed il pronto intervento;
- Se l’infortunato è stato colpito agli occhi, portarlo al lavaocchi più vicino;
- Provvedere a contenere eventuali perdite di sostanze chimiche tramite materiale assorbente e kit per emergenze ambientali
Nell’etichetta, ove possibile, i pittogrammi vengono accompagnati da indicazioni di pericolo (frasi H, Hazard statements) e consigli di prudenza (frasi P, Precautionary statements). Le prime rappresentano indicazioni di pericolo relative a sostanze chimiche e coprono pericoli fisici, pericoli per la salute, pericoli per l’ambiente. I cosiddetti consigli P sono prescrizioni di natura sanitaria rappresentano consigli di prudenza sia di carattere generale sia relativi alla prevenzione, reazione, conservazione e smaltimento delle sostanze chimiche. Le indicazioni di pericolo H e i consigli P hanno sostituito le frasi R e S rispettivamente delle precedenti direttive europee ed oggi abrogate dal Regolamento CLP (CE) n. 1272/2008.
5. RISCHIO BIOLOGICO
Si intende per agente biologico: qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.
Esistono tuttavia, come ben noto, diversi gradi di patogenicità e di virulenza, correlati anche a diversi scenari espositivi e vie di trasmissione; la classificazione di pericolosità degli agenti biologici tiene conto di tutte queste caratteristiche, mettendo in cima alla lista dei microrganismi più pericolosi, quelli con elevata virulenza
Risulta quindi evidente come una corretta valutazione del Rischio Biologico debba tenere conto sia della pericolosità intrinseca del microrganismo eventualmente presente, che della possibilità che questo venga in qualche modo trasmesso ai lavoratori.
Le aziende a rischio biologico sono sostanzialmente di due tipi:
- quelle che utilizzano deliberatamente per le proprie attività organismi biologici
- quelle che non fanno uso deliberato di agenti biologici ma che potenzialmente potrebbero comunque entrare in contatto con qualcuno di essi.
Per quanto concerne la prevenzione, un aspetto fondamentale è quello dell’attenzione alla formazione del personale potenzialmente esposto, che deve essere messo sempre a conoscenza sia delle potenziali sorgenti di infezioni (dirette o veicolate che siano) che dei possibili rischi da esposizione; una buona profilassi può tenere conto della somministrazione di opportuni vaccini, così come dall’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione collettiva e individuale.
Per le aziende a rischio biologico è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, che comprenda l’effettuazione di monitoraggi biologici periodici, definiti dal Medico Competente e dal datore di Lavoro, sulla base degli scenari di esposizione specifici, i cui risultati devono essere comunicati al lavoratore esposto.
Il Luogo di Lavoro deve essere separato dal luogo dove si fa la pausa o dove si pranza.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO
Durante la normale attività lavorativa:
- Mantenere una corretta pulizia ed igienizzazione dei locali tramite prodotti per la detersione e la sanitizzazione (ad es. Ipoclorito di sodio);
- Favorire un microclima salubre per i lavoratori favorendo frequenti cambi d’aria e una corretta ventilazione;
- In caso di presenza di impianti idro-termo sanitari provvedere ad una corretta manutenzione, inserendo un eventuale impianto per il trattamento delle acque con biocidi;
- In caso di impianti di deumidificazione o climatizzazione provvedere ad una corretta manutenzione cambiando frequentemente l’acqua prodotta e trattandola con eventuali biocidi;
- Eseguire campionamenti periodici dell’aria e dell’acqua tramite laboratorio per verificare la presenza di agenti biologici pericolosi;
- Evitare il ristagno di acqua a temperatura tra i 20 ed i 60 °C;
- Rispettare e scadenze dei richiami per le vaccinazioni (ad es. Tetano);
- Prima delle lavorazioni, lavarsi abbondantemente faccia e mani fino a livello dell’avambraccio
- In caso di lavorazioni con materiale biologico, indossare i seguenti DPI durante tali lavorazioni:
- Maschere per polveri e sostanze chimiche facciale completa o semifacciale;
- Occhiali protettivi (se non si usa una maschera semifacciale);
- Guanti protettivi;
- Tuta protettiva o camice monouso.
- Finita la lavorazione eliminare i DPI;
- Lavarsi abbondantemente faccia e mani fino a livello avambraccio a fine lavoro;
In caso di emergenza:
- Mantenere la calma;
- Isolare il personale ed il reparto esposto all’agente biologico;
- Contattare le autorità sanitarie per richiedere trattamento di sieroprofilassi per il personale esposto e verifica dei possibili portatori sani;
- Eseguire sanitizzazione dei locali tramite personale qualificato (Azienda AUSL, privato , ecc.);
- Eseguire manutenzione straordinaria degli impianti di aspirazione per eliminare l’eventuale presenza di agenti biologici.
5.1 Descrizione rischio biologico COVID-19
I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte.
In particolare:
I coronavirus umani comuni di solito causano malattie del tratto respiratorio superiore da lievi a moderate, come il comune raffreddore, che durano per un breve periodo di tempo.
I sintomi possono includere:
-naso che cola;
-mal di testa;
-tosse;
–gola infiammata;
-febbre;
-una sensazione generale di malessere;
-Perdita di percezione degli odori e sapori.
I coronavirus umani a volte possono causare malattie del tratto respiratorio inferiore, come polmonite o bronchite. Questo è più comune nelle persone con preesistenti patologie croniche dell’apparato cardio-vascolare e/o respiratorio, e soggetti con un sistema immunitario indebolito, nei neonati e negli anziani.
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DA ADOTTARE
-Provvedere all’installazione di erogatori di gel disinfettanti con azione battericida e virucida,
-Provvedere alla dotazione di guanti usa/getta e mascherine protettive.
In conformità con le indicazioni dettate dalla normativa nazionale, il datore di lavoro deve invitare i propri dipendenti a ricorrere alle comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria:
In questo caso ci troviamo di fronte ai sistemi di prevenzione più comuni:
-lavarsi frequentemente e accuratamente le mani,
-fare attenzione all’igiene delle superfici, evitare di avvicinarsi a meno di un metro gli uni dagli altri,
-Indossare mascherine protettive e guanti protettivi.
COME COMPORTARSI CON I CASI SOSPETTI
Se il datore di lavoro si accorge della presenza di un soggetto che “risponde alla definizione di caso sospetto”, ha il dovere di:
-Contattare immediatamente i servizi sanitari;
-Evitare contatti ravvicinati con la persona che potrebbe aver contratto il virus;
-Fornire una maschera chirurgica;
-Prestare attenzione alle superfici con cui è venuto a contatto;
-Far eliminare direttamente dal soggetto interessato i fazzoletti di carta utilizzati, gettandoli in un sacchetto impermeabile che sarà smaltito con i materiali prodotti durante le attività sanitarie del personale di soccorso.
QUANDO SOSPENDERE L’ATTIVITÀ LAVORATIVA
In presenza di casi sospetti, il datore di lavoro ha l’obbligo di sospendere l’attività lavorativa:
-per i lavoratori che abbiano avuto contatti stretti e continuativi con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19 deve essere applicato smart working e telelavoro.
VIDEO: Stop alla pandemia: https://youtu.be/WuwsPCPxXis
6. RISCHIO INCENDIO
L’INCENDIO è una combustione che si manifesta in maniera non controllabile dall’uomo. La COMBUSTIONE è un fenomeno complesso, schematizzabile attraverso il TRIANGOLO DEL FUOCO:
- COMBUSTIBILE – legno, carta, benzina, gas, ecc..
- COMBURENTE – ossigeno contenuto nell’aria
- CALORE O FONTE DI INNESCO – fiammifero, accendino, corto circuito, fulmine, ecc..
Affinchè ci sia combustione, è necessario che tutti e tre questi elementi siano presenti contemporaneamente. È quindi sufficiente riuscire a contrastare efficacemente anche uno solo di questi elementi per evitare che la combustione abbia luogo e si verifichi un INCENDIO.
Al triangolo del fuoco fa riscontro il TRIANGOLO DI ESTINZIONE, riportante i parametri antagonisti, necessari a contrastare l’incendio:
- SOTTRAZIONE DEL COMBUSTIBILE – allontanamento o separazione della sostanza combustibile dal focolaio d’incendio
- SOFFOCAMENTO O SOTTRAZIONE DI COMBURENTE – separazione del comburente dal combustibile o riduzione della concentrazione di comburente. (per esempio comprendo il combustibile)
- RAFFREDDAMENTO O SOTTRAZIONE DI TEMPERATURA – sottrazione di calore fino ad ottenere una temperatura inferiore a quella necessaria al mantenimento della combustione.
Oltre a questi tre sistemi, esiste anche l’AZIONE CHIMICA DI ESTINZIONE (azione anticatalitica o catalisi negativa), mediante l’utilizzo di sostanze che inibiscono il processo della combustione (es. halon, polveri).
Gli estinguenti chimici si combinano con i prodotti volatili che si sprigionano dal combustibile, rendendo questi ultimi inadatti alla combustione, bloccando la reazione chimica della combustione.
Normalmente per lo spegnimento di un incendio si utilizza una combinazione delle operazioni di esaurimento del combustibile, di soffocamento, di raffreddamento e di azione chimica.
Le Misure di Protezione, finalizzate alla riduzione dei danni, in relazione alla necessità o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto, si suddividono in:
- Misure di Protezione PASSIVA – NON richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto. Sono finalizzate alla limitazione degli effetti dell’incendio nello spazio e nel tempo.
Esempi: Isolamento, Distanze di sicurezza, Resistenza al fuoco, Reazione al fuoco dei materiali, Ventilazione, Vie d’uscita, ecc.
- Misure di Protezione ATTIVA – Richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto, sono finalizzate alla precoce rilevazione dell’incendio, alla segnalazione ed all’azione di spegnimento.
Esempi: Estintori, Rete idrica antincendio, Impianti di rivelazione automatica d’incendio, Impianti di spegnimento automatici, Dispositivi di segnalazione e d’allarme, Evacuatori di fumo e calore, ecc.
Gli ESTINTORI sono i mezzi di primo intervento più impiegati per i principi di incendio. Non sono efficaci se l’incendio è in una fase più avanzata. Essi devono essere sottoposti ad un controllo periodico ogni 6 mesi.
ESTINGUENTI
L’estinzione dell’incendio, si può ottenere mediante raffreddamento, sottrazione del combustibile, soffocamento e azione chimica, ottenuti singolarmente o contemporaneamente.
È fondamentale conoscere proprietà e modalità d’uso delle principali sostanze estinguenti:
- ACQUA
- SCHIUMA
- POLVERI
- GAS INERTI
Tipologie e caratteristiche degli estinguenti
Estinguente | Azione estinguente | Consigliato per estinguere |
---|---|---|
ACQUA | Estinguente facilmente reperibile, la sua azione consiste in: raffreddamento, soffocamento per sostituzione dell’ossigeno con vapor d’acqua, diluizione di sostanze, imbevimento di combustibili solidi. | Incendi di combustibili solidi (classe A). Non utilizzabile su apparecchiature elettriche (ex. classe E). |
SCHIUMA | Costituita da soluzione in acqua di liquido schiumogeno, che a contatto con l’aria si trasforma in schiuma. La sua azione consiste in: soffocamento e, in minima parte, raffreddamento | Incendi di liquidi infiammabili (classe B). Non utilizzabile su apparecchiature elettriche (ex. classe E) e su fuochi di combustibili metallici (classe D). |
POLVERI | Costituite da particelle solide finissime, a base di bicarbonato di sodio, potassio, sali organici e fosfati. La sua azione è di tipo chimico, di raffreddamento e di soffocamento. | Apparecchiature elettriche in tensione, ma possono danneggiare apparecchiature e macchinari. |
GAS INERTI | Principalmente utilizzata l’anidride carbonica (CO2), in quanto non è tossica, è più pesante dell’aria, è dielettrica (non conduce elettricità), si conserva come gas liquefatto. Riduce la concentrazione di comburente fino a impedire la combustione, agisce anche per raffreddamento. | Apparecchiature elettriche in tensione. |
Per quanto riguarda la gestione dell’emergenza, i protagonisti sono:
- Addetto al servizio antincendio – Svolge un importante ruolo nella prevenzione incendi, mediante il controllo periodico dei luoghi di lavoro e la segnalazione di eventuali anomalie favorevoli allo sviluppo di un focolaio. L’addetto antincendio è designato dal Datore di Lavoro, il quale provvede alla sua formazione ecc..
- Datore di lavoro – Garantisce la presenza di mezzi di estinzione idonei alla classe di incendio ed al livello di rischio presente sul luogo di lavoro, organizza i rapporti con i servizi pubblici, designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dai luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso ed in generale di gestione dell’emergenza ecc…(egli deve garantire la documentazione di emergenza).
- Lavoratori – Devono allontanarsi dal posto di lavoro in caso di pericolo, prendere misure necessarie per evitare le conseguenze di qualsivoglia pericolo sopraggiunto, accettare la designazione ad addetto del servizio di emergenza, rispettare e far rispettare il divieto di fumo degli ambienti, non ostruire i percorsi d’esodo ecc..
MISURE DA ADOTTARE DALL’ADDETTO AL SERVIZIO ANTINCENDIO DURANTE UN’EMERGENZA
- Una volta avvisato dell’emergenza in atto deve subito recarsi sul posto e valutare l’entità dell’emergenza;
- Se l’emergenza è di lieve entità, controllabile mediante l’uso di estintori, per esempio, deve adoperarsi per far rientrare la situazione;
- Nel caso in cui egli non riesca a controllare l’evento deve dare immediatamente inizio alla procedura di evacuazione, attivando il dispositivo acustico per la segnalazione di allarme o dando istruzioni ad altri per agire in merito;
- Avvisare gli addetti alle chiamate di emergenza (di solito il centralino) chiedendo di allertare i soccorsi esterni;
- Agire su valvole e interruttori per inibire il flusso di gas pericolosi e/o corrente elettrica;
- Isolare il luogo in cui sta avvenendo l’emergenza, assicurandosi dell’effettiva chiusura delle porte tagliafuoco;
- Aiutare le persone presenti ad evacuare, in special modo, uno o più addetti devono occuparsi delle persone con visibilità o mobilità ridotta e assicurarsi che tutti raggiungano il punto di ritrovo;
- Verificare l’effettivo abbandono di tutti i locali, chiudendo a chiave le porte dietro di sé;
- Fare l’appello del personale, per accertarsi che tutti siano giunti al punto di ritrovo, in caso negativo iniziare le ricerche e informare i soccorsi esterni;
- Supportare i soccorsi esterni dando le informazioni del caso;
- Segnalare la fine dell’emergenza quando la situazione di pericolo è cessata;
- Chiedere la rimessa in esercizio degli impianti e la ripresa dell’attività, in seguito agli accertamenti sulla sicurezza degli impianti e dei fabbricati.
La segnaletica di salvataggio ed antincendio appartiene al campo più generale delle prescrizioni previste per la segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro. Fra questi si collocano i segnali di salvataggio o di soccorso, che forniscono indicazioni relative alle uscite di sicurezza o ai mezzi di soccorso o di salvataggio e sono di forma quadrata o rettangolare ed hanno un pittogramma bianco su fondo verde.
La segnaletica antincendio invece è destinata ad identificare e ad indicare l’ubicazione dei materiali e delle attrezzature antincendio. E’ di forma quadrata o rettangolare ed ha pittogramma bianco su fondo rosso.
7. RISCHIO ESPLOSIONE
Il Rischio Esplosione è normalmente associato ad un potenziale danno di elevata magnitudo: le esplosioni determinano tipicamente gravi danni alle strutture e infortuni gravi e anche mortali per i lavoratori.
Le prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere potenzialmente esplosive sono indicate dalla Direttiva Europea 1999/92/CE del 16 dicembre 1999.
Inizialmente recepita con il D.Lgs. 233/2003, che modificava e integrava il D.Lgs. 626/94, la Direttiva attualmente è richiamata nel Titolo XI Protezione da atmosfere esplosive (artt. 287-297) del D.Lgs. 81/08.
QUANDO SIAMO IN PRESENZA DI UN’ATMOSFERA ESPLOSIVA?
Si definisce “atmosfera esplosiva” una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo l’accensione, la combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta (art. 288, D. Lgs. 81/08), è sufficiente che in un’attività siano presenti, durante le normali condizioni di lavoro, o accidentalmente, sostanze combustibili e/o infiammabili miscelate con l’aria nelle giuste proporzioni (miscelazione compresa nel campo di esplodibilità) per determinare una possibile presenza di atmosfere esplosive.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DELLO RISCHIO ESPLOSIONI
Metodi evitare la formazione di atmosfere esplosive:
- Utilizzare nelle zone soggette ad atmosfere esplosive strumenti in materiale antiscintilla;
- Per i mezzi a motore, usare solo quelli aventi dispositivi antidetonanti;
- Utilizzare macchinari ad aria compressa o aventi impianti elettrici antidetonanti;
- Fare check list di controlli periodici per le apparecchiature in pressione;
- Eseguire manutenzione periodica degli impianti ed attrezzature in pressione;
- Controllare che prese elettriche e messe a terra non siano danneggiate;
- Pulire periodicamente i locali da polvere ed altro materiale infiammabile
- Utilizzare impianti di aspirazione e fare manutenzione periodica;
- Mantenere le sostanze sotto pressione refrigerate e in ambiente fresco, lontano da fonti di calore e luce;
- Non utilizzare in zone soggette ad atmosfere esplosive.
8. RISCHIO MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI
La movimentazione manuale dei carichi viene definita dal Testo Unico come: “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari”.
Si intende per rischio sollevamento e trasporto l’attività caratterizzate da operazioni prevalenti di prelievo, trasporto e rilascio manuale di un carico di dimensioni e peso definiti.
Es: carico o scarico manuale di confezioni su pallets, collocazione di faldoni su uno scaffale, carico di mattoni su una carriola.
Si intende per rischio traino e spinta l’attività caratterizzate da operazioni prevalenti di spinta e/o traino di un oggetto, con o senza ruote.
Es: spinta di un carrello per il trasporto di manufatti, trasporto di oggetti per mezzo di un transpallet, traino di sacchi sul pavimento.
Si intende per rischio movimenti ripetitivi l’attività caratterizzate da cicli che si ripetono uguali a loro stessi a intervalli di tempo definiti. Il loro svolgimento può comportare l’effettuazione di movimenti ripetuti degli arti superiori, per spostamento di oggetti di peso ridotto o semplicemente per compiere alcune azioni.
Es: attività lungo una linea di montaggio, attività di cassa al supermercato, carteggiatura della superficie, stiratura di indumenti.
Nel procedere alla valutazione del rischio il Datore di Lavoro deve considerare l’incidenza di vari fattori tra cui:
- l’età, il genere e l’idoneità fisica dei lavoratori interessati dalla mansione;
- la frequenza con cui viene eseguita l’operazione di movimentazione manuale dei carichi;
- la presenza o meno nel processo di lavoro di un sistema di gestione che preveda, ad esempio, il sollevamento di squadra.
- dei fattori di rischio legati al tipo di lavoro che viene effettuato con riferimento alla posizione assunta dal lavoratore (è inginocchiato, è costretto a piegarsi in avanti ecc.), al tipo di carico che deve essere movimentato e alle caratteristiche del luogo di lavoro.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE DEI CARICHI (MMC)
Sollevamento:
- Piegare bene le ginocchia quando si prende il carico;
- Tenere il carico sollevato a livello del baricentro e con le braccia piegate vicino al corpo;
- Tenere il carico sollevato davanti a voi;
- Ridurre al minimo il tragitto dal punto di presa del carico al punto di posa;
- Tenere il peso del carico entro i limiti consentiti: 25 kg per l’uomo e 20 kg per la donna;
- Se il carico supera tali limiti:
- dividere il carico in pezzi più piccoli che rispettino i limiti;
- Sollevare in almeno due persone il carico;
- Utilizzare organi di sollevamento (Carroponte, gru a bandiera, ecc.);
- Alternare attività che prevedono il sollevamento di tali carichi ad attività che non comportino lo stesso sforzo fisico;
- Tenere i carichi che vengono movimentati più frequentemente su scaffali a livello del baricentro del corpo;
- Utilizzare maniglie o appigli asportabili, se il carico risulta difficile da prendere;
- Per carichi presi con una sola mano, cercare di bilanciare il peso tra le due braccia.
Traino e spinta:
- Utilizzare il più possibile transpallet e muletti;
- Tenere la schiena il meno incurvata possibile;
- Cercare di farsi aiutare dai propri colleghi;
- Se possibile, dividere il carico;
- Alternare a tali attività lavorazioni che non comportino lo stesso sforzo fisico.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTI RIPETITIVI (SBAS)
Durante la normale attività lavorativa:
- Utilizzare guanti protettivi confortevoli e che non riducano notevolmente la sensibilità della lavorazione;
- Ridurre il numero di movimenti bruschi (strappi o contraccolpi) durante la lavorazione;
- Sostituire gli strumenti a vibrazioni o che creano contraccolpi con altri a minor impatto;
- Programmare il lavoro in modo da alternare le attività che comportino ripetizioni di movimenti o posizioni fisse delle mani per lunghi periodi con altri non aventi lo stesso sforzo;
- Se possibile, regolare il ritmo di lavoro delle macchine;
- In caso di posizioni statiche, muovere le dita ed i polsi a fine lavorazione per riattivare la circolazione ed eliminare formicolii e perdita di sensibilità;
- Cercare di appoggiare le braccia su un piano o sul tavolo da lavoro;
- Evitare di fare tali lavorazioni tenendo le mani ad altezza capo;
- Ridurre movimenti ampi del gomito e del polso durante l’attività
9. RISCHIO MECCANICO
Per rischio meccanico si intende il pericolo legato all’uso di macchinari e attrezzature da lavoro.
I principali pericoli legati al rischio meccanico:
- Schiacciamento: una parte del corpo rimane schiacciata da 2 elementi meccanici in movimento.
- Cesoiamento: asportazione di una parte del corpo.
- Taglio o sezionamento: dovuti ad un elemento meccanico tagliente.
- Impigliamento, trascinamento o intrappolamento: una parte del corpo viene catturata da elementi meccanici rimanendo incastrata tra gli stessi.
- Urto: colpo dovuto a parti meccaniche in movimento.
- Perforazione o puntura: penetrazione di un elemento acuminato in una parte del corpo.
- Attrito o abrasione: sfregamento tra una parte del corpo e un elemento meccanico che può generare anche escoriazioni.
- Proiezione di fluidi, corpi solidi o parti di macchina: ad esempio schizzi o schegge che possono colpire il lavoratore.
- Scivolamento, inciampo o caduta: frequenti nei lavori in quota.
I DPI utilizzati per il rischio meccanico sono:
- Scarpe antinfortunistiche
- Guanti protettivi
- Caschi ed elmetti
- Maschere e visiere
- Abbigliamento
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA LAVORAZIONE MECCANICHE E DALLE MACCHINE UTILIZZATE
Durante la normale attività lavorativa:
- Utilizzare guanti protettivi confortevoli e che non riducono notevolmente la sensibilità della lavorazione;
- Verificare che tutti i dispositivi di protezione ed i sistemi di blocco della macchina siano presenti e funzionanti;
- In caso di malfunzionamenti o problemi alla macchina, premere il pulsante per il blocco di emergenza (“Fungo rosso”);
- impostare registro e check list per il controllo della macchina, seguendo le indicazioni riportate nel libretto d’uso e manutenzione;
- Indossare i DPI indicati dal libretto d’uso e consegnati dal datore di lavoro.
Durante l’attività di manutenzione:
- Segnalare che la macchina è in manutenzione tramite cartelli;
- Se la manutenzione viene eseguita da ditta esterna, fornire al manutentore i nominativi delle persone a cui fare riferimento ed assisterlo durante l’attività lavorativa
- Evitare che il tecnico resti da solo in zone isolate come i bagni ;
- In caso di emergenza, procedere ad assistere il tecnico esterno aiutandolo a raggiungere il punto di ritrovo;
- Se la manutenzione viene eseguita dal personale interno all’azienda, staccare l’interruttore principale della macchina e bloccarlo tramite lucchetto con il metodo Lock-Out Tag-Out;
- Ogni operatore che esegue manutenzione sulla macchina deve applicare il suo lucchetto per bloccare l’interruttore generale e per segnalare la sua presenza;
- Nel caso in cui si debba intervenire su parti in tensione dopo aver staccato la macchina, non intervenire direttamente ma utilizzare una pinza o un attrezzo idoneo per lavorare sulla parte senza inserire le mani;
- A fine intervento, il manutentore rimuove il suo lucchetto e riporta nella check list e nel registro di manutenzione gli interventi svolti;
- L’ultimo manutentore rimuove il lucchetto e attiva l’interruttore generale.
10. RISCHIO ATTREZZATURA DA LAVORO
Il datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi alle attrezzature di lavoro e per impedire che tali attrezzature siano usate per condizioni e scopi non adatti, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative.
Il datore prende le misure necessarie affinché siano:
- installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso
- oggetto di idonea manutenzione
- assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza
- siano curati la tenuta e l’aggiornamento del registro di controllo
L’uso dell’attrezzatura di lavoro deve essere riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una formazione, informazione ed addestramento adeguato.
Inoltre, durante l’utilizzo dell’attrezzatura da lavoro i lavoratori devono indossare I DPI:
- Scarpe antinfortunistiche
- Guanti protettivi
- Caschi ed elmetti
- Maschere e visiere
- Abbigliamento
11. RISCHIO ELETTRICO E FULMINAZIONE
Al rischio elettrico sono sempre associate due grandezze, la “corrente elettrica” e la “tensione”.
Al passaggio di corrente nei circuiti segue uno sviluppo di calore dipendente dal valore della “resistenza” del circuito e, in misura maggiore, dal valore dell’intensità di corrente. In generale, il calore sviluppato in parte viene trasmesso all’ambiente esterno, in parte determina un aumento di temperatura del “conduttore” e degli “isolanti” del circuito.
Se il fenomeno termico non è correttamente gestito, l’aumento di temperatura può provocare il danneggiamento degli isolanti; in taluni casi, questi diventano oggetto di una combustione localizzata che può evolvere in un incendio.
La presenza di una tensione tra i vari punti del circuito comporta altre criticità:
- la possibilità che si verifichi un “corto circuito”, se i due punti a tensione differente entrano in contatto;
- l’innesco di “archi elettrici”, se l’isolante non è opportunamente scelto e dimensionato in funzione del valore di tensione e delle condizioni ambientali;
- il passaggio di correnti attraverso il corpo umano, qualora questo entri simultaneamente in contatto con due parti tra cui è presente la tensione. Tali correnti possono generare effetti fisiopatologici (“shock elettrico”) variabili in funzione del valore della corrente e della durata del contatto che, nei casi più gravi, possono essere letali.
Entrando nel merito alla valutazione del rischio elettrico, l’art 80 del D.Lgs 81/08, indica prima di tutto le diverse tipologie di pericolo che possono presentarsi, distinguendo tra contatto elettrico diretto (quando la scarica viene trasmessa al corpo direttamente da una fonte di energia) e quello indiretto (quando vi è passaggio di corrente attraverso un elemento conduttore come può essere l’acqua o un metallo).
Gli eventuali danni all’organismo che possono verificarsi in seguito ad un incidente di natura elettrica, variano in base alla durata dell’esposizione, alla frequenza ed all’intensità della corrente. Si parla quindi di folgorazione (o elettrocuzione) quando vi è passaggio di corrente attraverso il corpo, in questo caso si possono manifestare danni cardiaci (fibrillazione), muscolari (tetanizzazione) e nervosi con seria compromissione delle funzioni sensitive e motorie.
Danni meno significativi si possono avere per contatti brevi o per correnti di bassa intensità, sono generalmente localizzati nel punto di contatto e possono manifestarsi con ustioni locali o ipersensibilizzazione della zona colpita dalla scarica.
Rischio fulminazione: il fulmine è un fenomeno di origine naturale, non prevedibile, dagli effetti spesso distruttivi e dal quale non sempre è possibile difendersi completamente. La protezione contro i fulmini deve perciò essere affrontata senza la pretesa di riuscire ad annullarne la forza distruttiva ma, più modestamente, con lo scopo di ridurre la probabilità di danno entro limiti accettabili.
Un fulmine che investe una struttura può provocare danni, oltre che alla struttura stessa, ai suoi occupanti, ai beni che contiene, agli impianti, elettrici e/o di segnale, e alle apparecchiature. I danni, inoltre, possono estendersi anche all’ambiente circostante e alle strutture vicine in relazione alle caratteristiche del fulmine e alla struttura colpita.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO ELETTRICO
In caso di lavori su quadri o impianti elettrici:
- Far eseguire lavorazioni solamente da parte di personale formato PES-PAV o PES-PAV-PEI ed autorizzato
- Isolare la parte dell’impianto per impedire l’accesso al personale non autorizzato;
- Indossare i seguenti dispositivi di protezione:
- Guanti isolanti in base al voltaggio dell’impianto;
- Casco con visiera protettiva;
- Vestiario idoneo da lavoro che copra tutto il corpo.
- Utilizzare solo strumenti isolati;
- Segnalare eventuali problemi riscontrati al preposto;
- Eseguire tali lavorazioni da almeno due persone, per aiutare gli eventuali infortunati.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA FULMINAZIONE E SCARICHE ATMOSFERICHE
Nel caso in cui l’ambiente di lavoro risulti autoprotetto:
Tenere mantenuto ed in buono stato gli impianti di messa a terra e di dissipazione delle scariche atmosferiche (ad es. attira fulmini a stilo).
Nel caso in cui l’ambiente non risulti autoprotetto:
Introdurre sistemi per garantire l’auto protezione da scariche atmosferiche come ad esempio:
- Attira fulmine a stilo
- Gabbia di Faraday
- Funi di guardia
- Scaricatori di sovratensioni
- Trasformatori
- Filtri
- Stabilizzatori
- Spinterometro
- Variatore
- Diodo Zener
12. RISCHIO VIABILITÀ AZIENDALE
Per viabilità aziendale si intende tutto ciò che è connesso con lo spostamento delle persone, dei mezzi di trasporto, delle materie prime e dei prodotti all’interno degli spazi aziendali, siano questi reparti chiusi o aree esterne.
La tendenza è spesso quella di considerare la sicurezza della viabilità interna solo per gli aspetti che riguardano il trasporto o l’esodo in caso d’emergenza; la viabilità generale viene invece spesso vissuta come un problema complementare, difficilmente gestibile per il suo carattere precario e dinamicamente variabile in base a diversi fattori contingenti quali le possibili interferenze causate da ditte esterne (fornitori e manutentori) la varietà e molteplicità dei percorsi e degli stazionamenti dei mezzi di trasporto interni ed esterni, dei pedoni, etc. Bisogna invece puntare ad un organizzazione che consideri importante anche il problema della viabilità come una possibile causa di incidenti importanti per investimento nelle aziende.
Occorre quindi affrontare in modo organico il problema della viabilità con disposizioni e regole certe definite dall’azienda:
- Semplificare e ridurre il più possibile i flussi dei prodotti, basandosi sul layout aziendale e limitare al massimo le operazioni di trasporto interno, anche utilizzando, dove possibile, dei sistemi automatici di avanzamento dei prodotti, quali, ad esempio, i nastri trasportatori.
- Riunire in un unico blocco, se possibile, gli spogliatoi, i servizi igienici, i lavabo, le docce ed i locali di riposo: una razionale dislocazione dei servizi igienico-assistenziali permette di realizzare delle strutture complete, agevoli da gestire limitando così le necessità di transito dei pedoni all’esterno dei fabbricati.
- Qualora vi fossero due accessi stradali è buona regola optare per il senso unico nei piazzali esterni con dedicando un accesso all’entrata e l’altro all’uscita; in questo modo si dimezza automaticamente anche il rischio di investimento da camion e carrelli.
Deve essere data la massima diffusione di quanto definito a tutti i lavoratori, fornitori e visitatori, relativamente a quali siano le regole di viabilità che vigono in azienda.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DELLA VIABILITÀ’ INTERNA
Per i pedoni:
- Utilizzare le apposite zone pedonali durante gli spostamenti in officina;
- Attraversare le zone di passaggio dei muletti solo attraverso le strisce pedonali;
- Evitare di transitare in prossimità di veicoli (ad es: muletti) se in manovra;
- Tenere le vie di transito il più possibile pulite e sgombre per evitare danni ai veicoli e alle persone;
- Mantenere periodicamente la segnaletica orizzontale e verticale;
- Segnalare e bloccare le zone in cui sono presenti buche o crepe;
- Nel caso di assenza di segnaletica orizzontale (strisce) fare attenzione alla presenza dei carrelli nell’area di lavoro
Per i carrellisti:
- Segnalare il proprio passaggio nelle zone a bassa visibilità tramite clacson;
- Non caricare personale se il muletto non è adibito al trasporto di passeggeri;
- Usare il gabbiotto normato per sollevare il personale e gli addetti alla manutenzione;
- Rispettare gli obblighi di precedenza come da codice della strada;
- Non bloccare le zone di transito pedonale con bancali o altro materiale;
13. RISCHIO CADUTA DALL’ALTO (LAVORI IN QUOTA)
Le cadute dall’alto dell’infortunato rappresentano circa un terzo degli infortuni mortali sui luoghi di lavoro dove il settore di attività maggiormente colpito è quello delle costruzioni, seguito dall’agricoltura. In circa due casi su tre si rileva un errore di procedura che si riferisce a situazioni in cui l’infortunato si trova a transitare su superfici non portanti e, quindi, non calpestabili.
Per lavoro in quota si intende un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. Nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possano essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate, a partire da un luogo adatto allo scopo, è necessario scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri a prescindere dalla modalità specifica dell’incidente:
-priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
-dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi;
-scelta del tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego.
Si devono inoltre individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO PER I LAVORI IN QUOTA
Prima dell’esecuzione dei lavori in quota:
- Controllare lo stato di manutenzione e le scadenze dei DPI per i lavori in quota (Imbracature, tiranti, dissipatori, ecc.);
- Montare la linea vita se non presente sul tetto;
- Montare il parapetto con eventuale ponteggio;
- Autorizzare alla lavorazione in quota solo il personale qualificato;
- Controllare l’eventuale presenza cedimenti o danni al tetto e marcarli correttamente;
- Assicurarsi che la via d’accesso alla zona lavoro sia fruibile ed accessibile solo al personale autorizzato;
- Utilizzare solo scale o macchine regolarmente normate.
Durante l’esecuzione dei lavori:
- Restare sempre attaccati alla linea vita o agli opportuni agganci per le imbracature;
- Evitare di transitare su zone che non presentano un’adeguata portata per il lavoro svolto;
- In caso di pioggia o di eventi atmosferici avversi, interrompere le lavorazioni.
- In caso di danni ai ponteggi, interrompere le lavorazioni ed eseguire le manutenzioni previste;
- In caso di danneggiamento dei DPI, interrompere le lavorazioni e sostituire i dispositivi danneggiati.
Le modalità di incidente possono essere :
- Cadute per sfondamento di coperture
Si evidenzia la necessità di dotare l’area di lavoro di opportuni piani di camminamento per effettuare i lavori in sicurezza e di disporre impalcati di protezione o reti di sicurezza al di sotto della copertura. Ove non sia possibile adottare tali misure collettive si rende necessario dotare gli operatori di sistemi di protezione individuali idonei per l’uso specifico.
2. Cadute da ponteggi ed impalcature fisse
Il fattore di rischio più frequente è rappresentato, da utensili, macchine, impianti e la problematica che emerge è la mancanza di protezioni fisse in più di un caso su due. A questo si aggiunge il fattore relativo alla modalità operativa del lavoratore, con un problema legato alle procedure di lavoro in due casi su tre.
3. Cadute all’interno di un varco
L’evento infortunistico sia determinato dai fattori riferibili all’organizzazione dell’ambiente, con una mancanza di protezioni del varco o di parapetti in più di due casi su tre, e alle modalità operative del lavoratore, che transita comunque su percorsi pericolosi, non protetti e non segnalati.
- Cadute da scale portatili
Le scale portatili, presentano un problema di adeguatezza all’uso specifico, devono essere costruite con materiale adatto alle condizioni di impiego. Esse devono inoltre essere provviste di dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori dei due montanti e di ganci di trat- tenuta o dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità superiori.
Quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute al piede da altra persona. Si evidenzia poi la necessità di utilizzare scale appropriate alla natura del lavoro da svolgersi (con riferimento alla quota, alla pendenza dei luoghi e alla durata).
14. RISCHIO CANCEROGENO
Gli agenti cancerogeni e mutageni sono in grado di provocare alterazioni genetiche e neoplasie nei soggetti esposti.
Il tema dell’epidemiologia dell’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni in ambito professionale e delle neoplasie correlate è complesso per diverse ragioni, fra le quali il lungo periodo di latenza tra esposizione ed insorgenza dei sintomi patologici, la multifattorialità nell’eziopatogenesi tumorale che non consente di isolare facilmente il rischio esclusivamente professionale e la difficoltà nel redigere anamnesi accurate.
Sostanze o preparati cancerogeni e/o mutageni sono presenti in diversi settori.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO CANCEROGENO
Durante la normale attività lavorativa:
- Mantenere aggiornate le schede di sicurezza dei prodotti cancerogeni in azienda in lingua italiana e in quelle che gli operatori possano comprendere facilmente;
- Rendere le schede di sicurezza fruibili agli operatori esposti a tali rischi;
- Sostituire i prodotti utilizzati con altri a minor rischio per la sicurezza sul lavoro;
- Ridurre la quantità delle sostanze pericolose utilizzata e stoccata;
- Organizzare il lavoro in modo da ridurre il numero di persone esposte alle sostanze pericolose;
- Ridurre il numero delle ore di esposizione alle sostanze pericolose;
- Eseguire le lavorazioni con tali sostanze in ambiente controllati muniti di impianti di aspirazione idonei alla quantità di prodotto utilizzato;
- Indossare i seguenti DPI durante tali lavorazioni:
- Maschere per polveri e sostanze chimiche facciale completa;
- Guanti protettivi;
- Crema Barriera (nel caso di allergia ai guanti)
- Tuta protettiva (nel caso di possibili esposizioni su tutto il corpo).
- Finita la lavorazione chiudere i DPI riutilizzabili negli appositi contenitori ed eliminare i dispositivi monouso;
- Lavarsi abbondantemente faccia e mani fino a livello avambraccio a fine lavoro;
- Eseguire periodicamente manutenzione e pulizia dei sistemi filtranti;
- Conservare le sostanze infiammabili ed esplosive in luoghi refrigerati e ben ventilati;
- Non conservare vicine sostanze che siano incompatibili tra di loro (ad esempio acceleranti con sostanze infiammabili);
- Smaltire le sostanze esauste come indicato sulle schede di sicurezza;
- Eseguire campionamenti periodici degli esposti;
- Tenere aggiornato il registro degli esposti a tali sostanze.
15. RISCHIO CAMPI ELETTROMAGNETICI
Il rischio da campi elettromagnetici (CEM) è un rischio che appartiene alle “Radiazioni non Ionizzanti” (che comprendono anche le radiazioni ottiche e cioè i raggi ultravioletti, le radiazioni del visibile, i raggi infrarossi) e viene considerato dal D.Lgs.81/2008 tra gli “Agenti Fisici” al Titolo VIII e in particolare dal Capo IV.
Il T. U. sulla salute e sicurezza sul lavoro mira essenzialmente a prevenire sia gli effetti biologici di tipo diretto, come il riscaldamento cutaneo, che quelli di tipo indiretto, come le interferenze con dispositivi medici impiantati sul corpo.
I CEM comprendono :
- radiofrequenze (RF)
- microonde (MO), le cosiddette ELF
- radiazioni a frequenze estremamente basse
- campi elettrici e magnetici statici.
I rischi da CEM non comprendono i rischi da contatto con parti in tensione che sono oggetto di altra normativa.
La valutazione, la misurazione e il calcolo devono essere effettuati tenendo conto in particolare di:
a) livello, spettro di frequenza, durata e tipo dell’esposizione;
b) valori limite di esposizione e valori d’azione;
c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio.
Numerose attività lavorative possono comportare esposizioni a campi elettromagnetici, cioè nell’intervallo di frequenza da 0 Hz fino a 300 GHz , a livelli di campo sensibilmente più elevati di quelli in gioco nelle tipiche esposizioni della popolazione.
Gli effetti dell’interazione dei campi elettrici e magnetici con i tessuti biologici si differenziano in relazione alle frequenze del campo elettrico e magnetico; si prendono pertanto in considerazione due differenti tipologie di campi elettromagnetici:
- Campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde (10 kHz – 300 GHz).
- Campi elettromagnetici ELF (frequenze estremamente basse) e statici
In questo intervallo di frequenza (10 kHz – 300 GHz) l’effetto biologico è quello dell’assorbimento di energia all’interno del corpo umano, con conseguente innalzamento della temperatura del tessuto. Per tale effetto sono note una serie di relazioni dose-risposta, su cui si basano gli attuali standard protezionistici.
Gli standard protezionistici attuali ci dicono che non ci sono effetti termici al di sotto di 4 W/kg poiché a tali livelli di esposizione non è associato un innalzamento significativo di temperatura del corpo. Ovviamente, a seconda di quanta energia viene assorbita si ottengono effetti differenziati, che possono andare dall’innalzamento della temperatura corporea di pochi gradi con la conseguente attivazione del sistema di termoregolazione dell’individuo esposto, ad effetti da stress termico, fino a vere e proprie ustioni e necrosi da radiofrequenze. L’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti), che è la massima autorità del campo, fissa gli standard protezionistici che ogni Paese dovrà recepire nella propria normativa.
In quasi tutti i luoghi di lavoro, il personale può essere esposto ai campi elettromagnetici che vengono generati ogni qualvolta si utilizza energia elettrica. Qualunque dispositivo, macchinario, impianto alimentato ad energia elettrica emette infatti campi elettrici, campi magnetici e campi elettromagnetici. Le sorgenti più comunemente conosciute sono, senza ombra di dubbio, gli elettrodotti e, in generale, gli apparati per la radiocomunicazione.
Tuttavia, oltre a queste sorgenti di immediata individuazione, negli ambienti di lavoro vi sono molte altre sorgenti di una certa consistenza che possiamo individuare, a partire dalle cabine di trasformazione media/bassa tensione, ai processi di saldatura manuale o automatica (a filo, oppure ad elettrodo o a radiofrequenza), ai forni ad induzione magnetica piuttosto che alla tempra ad induzione: ma queste sono solo alcune delle sorgenti più significative presenti in ambito industriale, senza contare, poi, quelle presenti in ambito sanitario quali, ad esempio, gli apparati di risonanza magnetica.
Dal momento che i campi elettromagnetici sono quindi presenti un po’ ovunque nell’ambiente industriale ma, purtroppo, a differenza di tanti altri rischi, risultano invisibili all’occhio umano, risulta fondamentale, per poter effettuare un’adeguata valutazione del rischio derivante da questo agente fisico, effettuare preliminarmente un censimento finalizzato ad individuare tutte le potenziali sorgenti di radiazione elettromagnetica presenti in azienda: di seguito una breve panoramica delle principali sorgenti di campi elettromagnetici (suddivise per banda di frequenza) presenti in ambito industriale che sicuramente necessitano di essere prese in considerazione ed esaminate con attenzione.
SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI STATICI.
Tali tipologie di sorgenti sono spesso presenti in corrispondenza di apparecchiature alimentate da tensione continua o linee percorse da elevate correnti continue. Un esempio è rappresentato dai processi di elettrolisi oppure dai macchinari per la produzione di grandi elettrodi per archi voltaici.
SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI ELF (EXTREMELY LOW FREQUENCY).
Queste sorgenti sono invece spesso associate al trasporto e all’impiego dell’energia elettrica. Ogni linea elettrica aerea o interrata, cablaggio, barra di trasmissione, cavo, costituisce quindi una sorgente di dispersione nell’ambiente circostante.
A titolo di esempio, a livello di reti di distribuzione dell’energia elettrica, vanno sicuramente considerate:
- Le cabine elettriche di trasformazione MT/BT;
- I quadri elettrici di potenza con correnti superiori a 100 A;
- I power center con interruttori superiori a 100 A;
- I motori elettrici di potenza superiore a 50 kW;
e, più in generale:
- Ogni installazione elettrica con una intensità di corrente di fase > 100 A;
- Ogni singolo circuito all’interno di una installazione con una intensità di corrente di fase > 100 A;
- Qualsiasi circuito nudo aereo di tensione superiore a 100 kV, o linea aerea superiore a 125 kV, sovrastante il luogo di lavoro, o a qualsiasi tensione nel caso di luogo di lavoro (vedasi Tabb. 1-2 EN 50499).
L’esposizione degli addetti alle centrali elettriche non può quindi essere sottovalutata, con un’attenzione particolare per gli addetti alla manutenzione delle linee. Molti sono peraltro gli impianti industriali dotati di sottostazione autonoma per l’alimentazione elettrica, con esposizioni parimenti significative.
In ogni caso, spesso all’interno delle realtà industriali sussiste la necessità di distribuire l’energia all’interno degli impianti, con il rischio di ritrovarsi alcune postazioni di lavoro a ridosso di cablaggi, con conseguente presenza di elevati livelli di campo magnetico.
Inoltre, ogni apparecchiatura alimentata con correnti elevate costituisce una potenziale sorgente.
SORGENTI DI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI A FREQUENZA SUPERIORE (RF E MO).
Queste ultime tipologie di sorgenti sono invece normalmente associate a riscaldatori utilizzati in vari ambiti industriali. Tali macchine si basano sulla trasformazione in calore dell’energia elettromagnetica assorbita dal materiale oggetto di trattamento. Le applicazioni sono numerose e, di conseguenza, il numero di apparecchiature di tale genere utilizzato all’interno delle attività produttive risulta essere estremamente elevato.
È possibile, in via generale, suddividere i riscaldatori industriali in tre categorie in base al principio e alle modalità di funzionamento:
- A microonde;
- A perdite dielettriche;
- A induzione magnetica.
I riscaldatori a microonde si trovano prevalentemente impiegati nell’ambito dell’industria alimentare: essi rappresentano l’equivalente dei comuni forni di uso domestico con potenze di utilizzo, in questo caso, molto più elevate.
Gli apparecchi per riscaldamento a perdite dielettriche sono invece in grado di produrre calore direttamente all’interno del materiale lavorato. I due strati di materiale da trattare vengono pressati tra due elettrodi a piastre di dimensioni variabili, che costituiscono l’applicatore e che risultano essere alimentati con la radiofrequenza tramite barre metalliche che possono trasportare anche notevoli quantità di corrente.
I riscaldatori ad induzione magnetica sfruttano, da ultimo, intensi campi magnetici per produrre calore all’interno di metalli e semiconduttori. Essi trovano largo impiego sia nell’industria del trattamento dei materiali metallici (saldatura, indurimento, tempera, fusione, ecc.), che in quella elettronica.
Sulla base di rilievi strumentali, eventualmente condotti in diverse configurazioni e condizioni di funzionamento delle apparecchiature, sarà possibile verificare l’intensità del campo elettrico e magnetico emesso dalle varie sorgenti in modo da confrontarlo coi limiti previsti dalla normativa sia per la popolazione che per i lavoratori, valutando inoltre l’attuazione di semplici interventi di bonifica e contenimento o l’adozione di più corrette procedure di impiego finalizzati ad ottenere una riduzione dell’esposizione.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO CAMPI ELETTROMAGNETICI
Durante la normale attività lavorativa:
- Marcare le aree in cui ci sono macchinari che emettono radiazioni elettromagnetiche, indicando le aree di azione con opportuna segnaletica orizzontale (linee adesive a strisce gialle/nere) e cartelli;
- Non far utilizzare macchinari che emettono campi elettromagnetici a frequenze medio-alte a persone aventi tali caratteristiche:
- Portatori di pacemaker o di dispositivi medici per la gestione di patologie;
- Portatori di protesi in metallo all’interno del proprio corpo.
- Se possibile, schermare le macchine che emettono frequenze a livello medio-alto con opportune barriere assorbenti;
- Ridurre il numero di ore e di persone esposte a campi elettromagnetici a livello medio-alto;
- In caso di danni alle schermature e/o alle macchine interrompere l’attività ed eseguire le manutenzioni
16. RISCHIO RADIAZIONI IONIZZANTI
Si parla di radiazione ionizzante quando “l’energia delle onde elettromagnetiche (EM) o radiazioni è sufficientemente alta” ed è “in grado di rimuovere gli elettroni dagli atomi e/o dalle molecole della materia (ionizzazione)”.
Quando le radiazioni ionizzanti causano ionizzazione ed eccitazione delle molecole, inducono “un danno agli organismi viventi”: il sistema biologico esposto ad un campo di radiazioni ionizzanti “diviene sede di una serie di processi chimici, fisici e biologici, originati dal trasferimento di energia da parte della radiazione, che possono indurre un effetto sanitario sull’organismo stesso”.
Le radiazioni ionizzanti sono onde elettromagnetiche e particelle capaci di causare, direttamente o indirettamente, la ionizzazione degli atomi e delle molecole dei materiali che attraversano. In pratica, nell’attraversare la materia, queste radiazioni riescono a sottrarre, in virtù della loro energia, elettroni dagli atomi (o molecole), creando così una coppia di particelle cariche.
Le radiazioni ionizzanti possono essere di due tipi:
- radiazioni di natura corpuscolare, fondamentalmente particelle subatomiche o nucleari dotate di una certa massa e, spesso, di carica elettrica; secondo le leggi della fisica quantistica tali particelle, sebbene siano corpi dotati di massa, possono comportarsi come onde e durante i processi di interazione con la materia possono cedere energia al mezzo attraversato;
- radiazioni di natura ondulatoria, chiamate “fotoni”, costituite da particelle di massa nulla e sprovviste di carica elettrica.
Si usa distinguere tra radiazioni direttamente ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente ionizzanti le particelle cariche (elettroni, particelle β, particelle α, ecc.); sono invece indirettamente ionizzanti i fotoni (raggi X e raggi γ), e le particelle neutre (neutroni).
Si indica, inoltre, che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti “può comportare due forme di rischio separate a seconda che si tratti di:
- sorgenti sigillate (irradiazione esterna): “si presentano sotto forma di solidi compatti non friabili oppure sono incapsulate in materiali metallici inattivi”;
- sorgenti non sigillate (irradiazione esterna ed interna): sono “costituite da sostanze radioattive utilizzate nello stato fisico e chimico nel quale si trovano (polveri, liquidi, gas) senza nessun incapsulamento e, quindi, facilmente disperdibili”.
E gli accorgimenti da adottare “per evitare irradiazioni di entità non trascurabile, sono schermature, tempo minimo di manipolazione, distanza sufficiente dalle sorgenti e adozione di opportune ed idonee procedure di lavoro”. Mentre gli effetti dannosi sull’organismo sono in funzione “dell’energia che viene ceduta, trasferita, depositata ed assorbita dall’organismo (o da un suo organo o tessuto)”.
In quali comparti e ambiti lavorativi si può essere esposti a questa tipologia di radiazioni?
Queste le attività le più significative:
-il ciclo del combustibile nei reattori nucleari di potenza;
-la produzione e l’uso di radioisotopi (medicina, industria ecc.);
-le decontaminazioni;
-la disattivazione degli impianti nucleari”.
Inoltre si segnala che se un consistente contributo alla radioattività totale è “dovuto ai rifiuti provenienti dalla disattivazione delle installazioni nucleari”, le “sorgenti di radiazione utilizzate in ambito sanitario (terapia e diagnostica medica) sono svariate”.
Questo è un breve elenco delle principali attività:
-radiologia;
-radioterapia;
-radioterapia con sorgenti per brachiterapia;
-medicina nucleare;
-laboratori RIA (Radio ImmunoAssay).
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO RADIAZIONI IONIZZANTI
Durante la normale attività lavorativa:
- Marcare le aree in cui ci sono macchinari che emettono radiazioni Ionizzanti(Raggi UV, Raggi X o Raggi Gamma), indicando le aree di azione con opportuna segnaletica orizzontale (linee adesive a strisce gialle/nere) e cartelli;
- Schermare i macchinari che emettono radiazioni ionizzanti;
- Ridurre il numero di ore e di persone esposte alle radiazioni;
- In caso di danni alle macchine e alle schermature, fermare le lavorazioni ed eseguire la corretta manutenzione.
17. RISCHIO RADIAZIONI OTTICHE ARTIFICIALI
Per radiazioni ottiche si intendono tutte le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezza d’onda compresa tra 100 nm e 1 mm. Lo spettro delle radiazioni ottiche si suddivide in radiazioni ultraviolette, radiazioni visibili e radiazioni infrarosse. Queste sono a loro volta suddivise in:
- radiazioni ultraviolette: radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 100 e 400 nm;
- radiazioni visibili : radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 380 e 780 nm;
- radiazioni infrarosse: radiazioni ottiche di lunghezza d’onda compresa tra 780 nm e 1 mm.
Le sorgenti di radiazioni ottiche possono inoltre essere classificate in coerenti e non coerenti.
Le prime emettono radiazioni in fase fra di loro (i minimi e i massimi delle radiazioni coincidono), e sono generate da LASER (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation– Amplificazione della luce per emissione stimolata di radiazione), mentre le seconde emettono radiazioni sfasate e sono generate da tutte le altre sorgenti non LASER e dal Sole.
Tutte le radiazioni ottiche non generate dal Sole sono di origine artificiale.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO RADIAZIONI OTTICHE ARTIFICIALI
In caso di utilizzo di sorgenti di radiazioni incoerenti (qualsiasi sorgente di luce che non sia laser):
- Verifica dell’indispensabilità o insostituibilità della sorgente o dell’attività-sorgente.
- Contenimento della sorgente all’interno di ulteriori idonei alloggiamenti schermanti completamente ciechi oppure di attenuazione nota, in relazione alle lunghezza d’onda di interesse.
- Adozione di schermi ciechi o inattinici a ridosso delle sorgenti
- Separazione fisica degli ambienti nelle quali si generano ROA potenzialmente nocive dalle postazioni di lavoro vicine
- Impiego di automatismi (interblocchi) per disattivare le sorgenti ROA potenzialmente nocive sugli accessi ai locali nei quali queste sono utilizzate
- Definizione di Zone ad Accesso Limitato installazione di opportuna segnaletica
- I lavoratori possono effettuare pause dal lavoro a loro discrezione, quando avvertono che l’impiego dei D.P.I. stia risultando gravoso in termini di sforzo fisico.
- I lavoratori hanno svolto una formazione specifica per l’utilizzo delle attrezzature
- I lavoratori sono stati adeguatamente forniti di D.P.I idonei
- I lavoratori sono stati adeguatamente addestrati dal datore di lavoro sulle procedure operative da attuarsi nelle fasi di lavorazione
- I lavoratori sono sottoposti a sorveglianza sanitaria almeno annuale effettuata dal medico competente secondo il protocollo sanitario deciso dal Medico Competente
In caso di utilizzo di sorgenti di radiazioni laser:
- Verifica dell’indispensabilità o insostituibilità della sorgente o dell’attività-sorgente
- Schermatura adeguatamente il fascio al termine del suo percorso utile
- Trattazione o protezione delle eventuali superfici riflettenti presenti sul percorso del fascio e per le specifiche lunghezze d’onda al fine di evitarne la riflessione o la diffusione
- Collegamento dei circuiti del locale o della porta ad un connettore di blocco remoto
- Abilitazione dello strumento mediante comando a chiave, hardware o software
- Inserimento di un attenuatore di fascio
- Definizione di Zona Laser Controllata (ZLC) e Zona Nominale Rischio Oculare (RZNRO) e installazione di opportuna segnaletica e predisposizione di procedure per l’accesso in sicurezza alle aree a rischio
- Per l’utilizzo di apparecchiature laser in classe 3B e 4 è richiesta la nomina di un Tecnico della Sicurezza Laser (o un Addetto alla Sicurezza LASER in ambito ospedaliero)
- I lavoratori sono sottoposti a sorveglianza sanitaria almeno annuale effettuata dal medico competente secondo il protocollo sanitario deciso dal Medico Competente
18. RISCHIO AMIANTO
L’amianto è un insieme di minerali del gruppo degli inosilicati (serie degli anfiboli) e del gruppo dei fillosilicati (serie del serpentino) di consistenza fibrosa e cancerogeni. Per diventare amianto i minerali di partenza devono subire particolari processi idrotermali di bassa pressione e bassa temperatura. Secondo la normativa italiana, l’amianto è inalabile: infatti è tipicamente formato da singole fibre più lunghe di 5 µm e con rapporto lunghezza / larghezza di almeno 3:1.
La sua ormai accertata nocività per la salute ha portato a vietare l’uso in molti paesi. Se respirate, le polveri contenenti fibre d’amianto possono infatti causare gravi patologie, tra cui l’asbestosi, tumori della pleura e il carcinoma polmonare.
La bonifica dell’amianto può avvenire utilizzando tre diversi metodi:
- rimozione, eliminare materialmente la fonte di rischio;
- incapsulamento, impregnare il materiale con l’uso di prodotti penetranti e ricoprenti;
- confinamento, installare delle barriere in modo da isolare l’inquinante dall’ambiente.
La rimozione è il procedimento maggiormente utilizzato perché elimina ogni potenziale fonte di esposizione e ogni bisogno di attuare cautele rispettive alle attività che vengono svolte nell’edificio. Gli svantaggi che porta questo tipo di bonifica sono: esposizione dei lavoratori a livelli elevati di rischio, produzione di contaminanti ambientali, produzione di alti quantitativi di rifiuti tossici e nocivi che devono essere smaltiti in determinati depositi, tempi di realizzazione lunghi e costi molto elevati.
PROCEDURA PRATICA PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO AMIANTO
Esposizione accidentale dell’amianto:
- Interrompere le lavorazioni in corso ed evacuare l’area;
- Consentire l’accesso solo al personale autorizzato per lavorazioni di manutenzioni ed interventi di estrema necessità con i dispositivi di protezione idonei;
- Ridurre al minimo il tempo di lavoro nella zona interessata;
- Comunicare la situazione all’ente di sorveglianza (AUSL, INAIL, ecc.)
- Contattare la ditta per la rimozione, se non si ha il personale qualificato
Attività di smaltimento amianto:
- Indossare i seguenti DPI durante tali lavorazioni:
- Maschere per polveri FPP3;
- Guanti protettivi;
- Tuta protettiva Isolante.
- Trattare le lastre di amianto con sostanze incapsulanti tipo FIXET-D o similari sia nell’intradosso che nell’estradosso;
- Rimuovere le lastre con attenzione, evitando di frantumarle;
- Trattare gli eventuali sfridi con l’agente incapsulante e raccoglierli in un sacco doppio a tenuta;
- Pulire le zone in cui possa essersi depositata della polvere con aspiratore avente filtro assoluto ed eseguire lavaggio delle superfici;
- Far eseguire da laboratorio esterno campionamenti per verificare la presenza di amianto;
- Raccogliere le lastre ed i DPI utilizzati in appositi sacchi di polietilene bianco e marcati correttamente, sigillandoli;
- Chiamare la ditta per il recupero;